GIORNALISMO · ATTUALITÀ · STORIA
Seguimi sui social:

L’America, nonostante l’America

Febbraio 18, 20250

Finirà così. Finirà che noi europei ameremo un’America che non ci ama. Amiamo l’America, nel senso di Stati Uniti, non di continente, perché, per dirla con Margherita Sarfatti, è <più grande del vero>. Siamo affascinati non della sua dimensione geografica, ma del suo essere tutto e il contrario di tutto. Di essere una ma tanta, come una piovra gigante. O una dea Kālī a dieci braccia.

L’amiamo per la sua cultura multiforme, come un caleidoscopio infinito. L’amiamo perché le riconosciamo di aver saputo ingrandire il nostro concetto di modernità. L’amiamo, in fondo, perché in essa vediamo la superfetazione del nostro vecchio mondo e della sua storia. E amiamo gli americani perché vogliamo illuderci che, in fondo, si sentano ancora italiani, tedeschi, irlandesi, francesi, spagnoli… Dunque nostri giovani nipoti. E ci commuoviamo ogni volta che un americano – meglio se famoso – attraversa l’Atlantico alla ricerca del paesino da cui è partito il trisnonno. Poi l’americano riparte e torna a essere quel che è, un americano senza aggettivi.

Ci saranno eccezioni, per carità, cariche di nostalgia. Ma in genere non è così. Che siano  di lontana origine europea, africana o orientale, si percepiscono americani. Anche se non tutti – ma sono molti – fanno l’alza bandiera nel cortile di casa. A parte i tricolori sventolati dai balconi per i mondiali di calcio, avete mai visto in Italia una bandiera in giardino? Non c’è perché non dobbiamo dimostrare a nessuno di essere quel che siamo. Semplicemente lo sappiamo. Anche gli americani sanno di essere americani. Ma preferisco ricordarselo sempre. A scanso di equivoci. L’America è loro. L’America, prima di tutto. E sono stanchi di essere considerati dei cafoni incapaci di usare coltelli e forchette.

Noi abbiamo ereditato il nostro mondo. Loro – a danno dei nativi – lo hanno creato. Creandolo hanno sopportato la fatica di inventarlo, nel nome di una libertà personale  che nel vecchio mondo non esisteva. Ora c’è. Ma loro sono scappati dalla povertà, dalle emarginazioni. Ognuno a suo modo, l’americano vuole essere libero. Anche di non amare il mondo degli antenati. Se non nella forma di cartoline sbiadite.

Prima l’America, dunque. Dovremmo smettere di illuderci. Mentre noi, anche grazie a loro, rinascevamo lentamente dalla catastrofe della seconda guerra mondiale, loro correvano. Globalmente. E quella loro America, con tutti i suoi squilibri, la sua complessità profonda, sono disposti a difenderla con le unghie e con i denti. Da ogni nemico.

Qual è, oggi, il loro nemico, in senso economico e militare? Se nel dopoguerra era l’Unione Sovietica, oggi è la Cina. Salvata l’Europa degli avi prima da Hitler e poi da Stalin, la priorità non siamo certo noi. E neppure l’Ucraina. Che sia anche un deposito di terre rare e’ un dettaglio. Se Putin volessero chiudere la guerra acquisendo metà del territorio ucraino, per Trump andrebbe bene. Se gli europei volessero veramente impedirlo, Trump starà a guardare. L’America ha garantito l’Europa con suo ombrello militare. Quell’Europa – potenza economica – oggi dovrebbe fare da sola.

Se scoppierà una terza guerra mondiale, non sarà per Kiev, ma per Taiwan. Dove, paradossalmente, il Kuomintang sconfitto nella guerra civile si ritiro’, e’ favorevole a una riunificazione con la Cina continentale. Trump, gravato da un debito pubblico enorme e dalla concorrenza cinese su vari fronti, ha molti nodi da sciogliere. In fondo, ci sta dicendo, prendete per mano il vostro destino. La sua presunta inimicizia, in realtà può aiutarci ad aprire gli occhi. E dovremmo farlo rapidamente.

Ma il vertice convocato da Emmanuel Macron a Parigi non è stato un bel segnale. Era inevitabile che i paesi della UE esclusi dai colloqui facessero notare la scorrettezza. Macron ha preteso di ricordare a ricordare a tutti che la Francia dispone delle armi atomiche e, dunque, ha il diritto di considerarsi primus inter pares. Una visione antica, che non aiuta a costruire una strategia efficace e condivisa. In realtà a Parigi è stata certificata la debolezza intrinseca dell’Unione Europea. E non è colpa dell’America. Ha bisogno di noi. Ma noi abbiamo ancora più bisogno di loro. 

Pubblicato anche su “The Social Post”:

https://www.thesocialpost.it/2025/02/18/lamerica-nonostante-lamerica/

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *