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De Felice, fare storia senza pregiudizi

Aprile 17, 20250

Chi è stato in realtà Renzo De Felice, al di là della sua monumentale e insuperata biografia mussoliniana? Qual è il suo lascito, culturale, civile e scientifico, nella storiografia del secondo Novecento? Quanto il suo insegnamento ha influito sul metodo storiografico?

È in fondo in questi interrogativi il cuore della biografia che Francesco Perfetti, presidente della Giunta Storica Nazionale, ha dedicato a De Felice, anticipando di poco l’appuntamento con il trentennale della sua morte (25 maggio 1996). Una risposta sintetica quanto efficace è opportunamente contenuta fin dal titolo del saggio: Per una storia senza pregiudizi. Il realismo storico di Renzo De Felice (Aragno, Torino 2025, pp. 461, 30). Il messaggio è chiaro, e De Felice amava sempre ribadirlo pubblicamente, oltre che ai suoi studenti, ai quali raccomandava: «ponetevi di fronte ai problemi con la vostra coscienza democratica, con la vostra cultura, qualche che sia. Noi storici, noi vecchi intellettuali possiamo offrirvi una fotografia del passato la più vicina possibile al vero e non falsificata dalla propaganda e dalla faziosità». Messaggio chiaro, ma spesso incompreso e anche contestato. Contrario all’uso e all’abuso politico della storia, gli fu affibbiato il marchio infamante di “revisionista”, come se il fare storia non sia per sua natura – se si è intellettualmente onesti una ricerca progressiva della verità sul passato, che non prevede un punto finale. La ricerca non termina mai.

Perfetti affronta tutti i temi con i quali De Felice si è confrontato nel suo lavoro storiografico. Fu storico, sì, del fascismo, non solo scegliendo come strumento di analisi la biografia mussoliniana, ma anche dell’Italia giacobina e – antesignano – dell’ebraismo e delle leggi razziali. In ogni capitolo l’autore evidenzia l’approccio storiografico di De Felice e le sue interpretazioni. Ma non manca ricordare e spiegare il percorso che ha condotto il giovane reatino a scegliere la storia come destino di una vita, senza estraniarsi dal presente, grazie a una spiccata propensione a intervenire nel dibattito pubblico, culturale e politico, pur rifuggendo dopo le esperienze giovanilida un impegno diretto in politica, peraltro più volte richiestogli. Un intellettuale osserva, giudica, avverte, consiglia, spiega, critica, ma della “medaglietta” parlamentare.

Perfetti scrive di De Felice non negando la sua stima e il suo rapporto con lui, pur non essendo stato parte – anche per motivi anagrafici – della “armata Brancaleone”, come veniva definita la sua cerchia di allievi.

Un po’ invidio Perfetti per il suo rapporto diretto con De Felice, che a me è mancato. Nella mia prefazione al terzo volume dei sui scritti giornalistici (<Facciamo storia, non moralismo> 1989-1996, Luni Editrice, Milano 2019) chiarivo di non essere stato «allievo e neppure semplice studente di Renzo De Felice. Lo ha conosciuto essenzialmente attraverso i suoi scritti, anche gran parte di quelli che qui si pubblicano. Non (ho) dunque da darne un ricordo personale, privato. Non basta per questo qualche incontro superficiale. Ma forse il mancato coinvolgimento emotivo è un bene, perché la lettura o rilettura di questi contributi non è condizionata dall’affetto, né dal gusto per l’aneddoto. Solo – è inevitabile – dalla stima intellettuale e, appunto, dal rimpianto per gli studi e le analisi che Renzo De Felice troppo presto ha cessato di offrire e stimolare».

Non fui allievo né studente per mero caso, in realtà. Quando De Felice passò dalla facoltà di Lettere della Sapienza a quella di Scienze Politiche mi ero già laureato, e avevo da tempo scelto la professione di giornalista, non quella storico, anche se ero tentato di farlo.

Perfetti – che lo ha conosciuto grazie al filosofo Augusto Del Noceha invece frequentato a lungo De Felice. «In fondo – spiega – io non appartenevo alla sua “scuola” storiografica nel senso stretto della parola. [] Mi ero formato, se così si può dire, ad altra “scuola”, a quella di Franco Valsecchi, grande storico del Settecento e dell’età risorgimentale proveniente dal filone storiografico che aveva in Gioacchino Volpe e in Benedetto Croce i suoi punti di riferimento [] Un bagaglio di idee lontano, lontanissimo dalla “cultura” di Renzo De Felice. Eppure, fra noi si creò un rapporto umano, e di profonda confidenza, che andò sempre più consolidandosi e che divenne, in seguito, anche rapporto di collaborazione scientifica».

Grazie a questo rapporto – senza mai scadere nella retorica – di De Felice Perfetti è in grado di fornire anche un’immagina “privata”, densa di spunti e riflessioni, al di là della condivisa interpretazione del lavoro storiografico. Dunque ne emerge un profilo umano di grande interesse. Sono dettagli, naturalmente, ma che consentono di cogliere nel profondo la personalità del grande storico. Forse i suoi genitori – Vittorio e Giuseppina Bonelli – non immaginavano potesse diventare quel che sarebbe diventato. Non poteva che preoccuparli il suo scarso rendimento degli studi liceali classici al romano Goffredo Mameli. Due volte ripetente, si “maturò” da privatista al Marco Terenzio Varrone di Rieti. Capisco bene il “dramma”. Rimandato a settembre con “2” in matematica allo scientifico Amedeo Avogadro di Roma, non distante dal Mameli, molti anni più tardi, per gli esami di riparazione fui “deportato” al Paolo Ruffini di Viterbo, città natale. Evidentemente era un vizio delle famiglie borghesi.

Banali dettagli, naturalmente, che tuttavia aiutano a comprendere lo spirito di un paio di epoche dimenticate. Un altro dettaglio? La scelta “paterna” di iscriversi a Giurisprudenza, salvo traferirsi prestissimo a Filosofia, non a Lettere «per evitare il terribile esame scritto di latino con Paratore». Ettore Paratore era un incubo, per chiunque. In quelle “epoche” chi non ha fatto lo slalom per “sopravvivere”? E chi, ciascuno a suo modo, non fu affascinato dalla militanza politica?

Così De Felice scelse di iscriversi – si era nel 1948/49 – al Partito Comunista togliattiano. Anni diimpegno, che non impedirono a De Felice di laurearsi nel 1954 con Federico Chabod, uno dei suoi maestri, con Delio Cantimori e Giuseppe De Luca. Nel frattempo De Felice si allontana lentamente dal marxismo e dal Pci. Il distacco definitivo avviene nell’ottobre del 1956, pochi giorni dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, quando firmò il Manifesto dei 101.
Una svolta politica e culturale verso il liberalismo che determina
il suo modo di fare storia, senza pregiudizi. Una biografia civile e intellettuale, dunque, questa di Francesco Perfetti. Segnata dalla stima e dall’affetto senza esserne condizionata. Uno storico dipinge un affascinante affresco di uno storico. Può sembrare un paradosso. Ammesso che così si possa considerarlo, si tratta, in fondo, un lavoro a lungo atteso.

 

Pubblicato anche su “The Social Post”:

https://www.thesocialpost.it/2025/04/18/de-felice-fare-storia-senza-pregiudizi/

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