La Fondazione Alleanza Nazionale ha voluto organizzare, il primo luglio 2025, un convegno in ricordo di Giuseppe Parlato. Di seguito il mio intervento.
Voglio innanzitutto ringraziare la Fondazione Alleanza Nazionale per aver pensato di organizzato questo incontro in ricordo di Giuseppe Parlato. Noi della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, per quanto fossimo consapevoli delle sue precarie condizioni di salute, siamo ancora un po’ smarriti. Ci sarà il tempo per una iniziativa scientifica sul suo lavoro.
Per quanto mi riguarda mi è difficile prendere atto di aver perso un amico coetaneo al quale sono stato vicino per quarant’anni. Un amico con il quale ci siamo scambiati sostegno, idee, riflessioni, documenti, collaborazione.
La Fondazione ha perso una guida sicura, che l’ha fatta diventare un punto di riferimento per la cultura italiana, nel segno della libertà di pensiero e della serietà degli studi. In fondo, al di là del lato umano, questa è l’eredità che Giuseppe ci ha lasciato.
“Storia e memoria della destra italiana”, avete voluto intitolare questa iniziativa. Tutti lo hanno ricordato come “storico della destra”. Parlato sicuramente lo è stato ma suoi interessi scientifici hanno avuto uno spettro più ampio. Ed è giusto sottolinearlo. Nella sua Torino si era occupato del Risorgimento. Fu il suo maestro Renzo De Felice – a Roma – ha indirizzarlo alla storia contemporaneae dunque alla storia del fascismo.
Il suo lavoro sul sindacalismo – all’epoca inesplorato – resta insuperato, come quelli, in parte connessi, sul convegno italo-francese di studi corporativi, su Riccardo Del Giudice, sulla storia della sinistra fascista, che definì acutamente come “progetto mancato”. Né vanno dimenticati i sui lavori sull’amatissimo Giovannino Guareschi, la sua attenzione per il mondo cattolico, la sua passione per le problematiche del confine orientale, per Fiume e per l’esodo giuliano-dalmata, e infine per D’Annunzio.
Poi, certo, arrivò l’impegno sulla storia del Movimento Sociale, con Fascisti senza Mussolini: le origini del neofascismo in Italia (1943-1948), anch’esso insuperato. E credo insuperabile, anche se la storiografia non prevede mai un approdo definitivo.
Da tempo lavorava sul periodo successivo, sugli anni Cinquanta. Non posso esserne sicuro, ma non mi stupirei se potesse nascere un importante volume postumo. D’altra parte Giuseppe ha sempre continuato a scavare sul tema, con La Fiamma dimezzata, per ricordare un altro titolo, senza dimenticare i numerosi contributi pubblicati su riviste scientifiche e volumi collettanei.
Quasi due anni fa gli chiesi di partecipare al convegno che stavo organizzando all’Aquila sull’attività Gioacchino Volpe nel dopoguerra. Accettò subito e fece le sue ricerche sui rapporti dello storico con monarchici e missini. Non stava bene e intervenne a distanza. Sono felice di essere riuscito a pubblicare gli atti con il suo puntuale contributo pochi giorni prima della sua morte. Nel testo ricorda anche la lettera che Volpe scrisse ad Almirante all’inizio del 1971, per condividere il progetto della Destra Nazionale. Naturalmente fu pubblicata dal “Secolo”.
L’interesse di Giuseppe per la storia della destra italiana – via via cresciuto – voglio ricordarlo, deriva da una intuizione di un altro caro amico di entrambi che non c’è più, Gaetano Rasi. In fondo la “colpa”e il merito vanno riconosciuti proprio a Gaetano.
A metà degli anni Ottanta Gaetano si era convinto – e ce ne fece partecipi – che fosse giunto il momento di studiare la storia di quel mondo politico e culturale con il criterio scientifico, scevro da pregiudizi, sire ira et studio. Non che mancassero testi, ma si trattava di memorialistica di parte e di libri dichiaratamente basati – appunto – sul pregiudizio.
Per citarne solo uno, non posso dimenticare il libro di Petra Rosenbaum “Il nuovo fascismo. Da Salò ad Almirante”, uscito nel 1973 con la prefazione di Carlo Rossella, il quale riteneva indispensabile mettere fuori legge quello che era diventato Msi-Destra Nazionale. Chi ha la mia età ricorderà il clima di quegli anni.
Giuseppe era lo studioso perfetto per fare storia nel senso proprio del termine. Perché era uno straordinario infaticabile ricercatore e si poneva in modo asettico rispetto a qualunque tema si impegnasse ad affrontare. Non puntava ad avvalorare una tesi preconcetta. Cercava di costruire una tesi sulla base della ricerca. La sua ricerca non si poneva limiti. I suoi giudizi non erano pregiudizi, ma valutazioni puramente storiografiche.
Giuseppe era fedele all’insegnamento di De Felice, che ai suoi allievi ricordava sempre che il compito dello storico è fare storia, non moralismo. Non per caso De Felice aveva accettato l’invito di Rasi di guidare la commissione scientifica della neonata Fondazione Ugo Spirito e poi anche di assumerne la presidenza. Per questo abbiamo dedicato la Fondazione anche al suo nome. Per questo Giuseppe decise di pubblicare i tre volumi che raccolgono gli “scritti giornalistici” del suo maestro.
Giuseppe Parlato era la persona giusta anche per lavorare alla storia delle destre italiane. Per formazione e per carattere. Di storia e memoria, stiamo parlando. Ma sono due approcci diversi, paralleli, a volte in conflitto. A lui mancava la memoria personale. Quando necessarie, andava cercando le memorie attendibili, affidabili. Prima o dopo aver consultato i documenti. In cerca di spunti e di conferme.
So che cosa significa lavorare come lavorava lui. Quando mi sono occupato di storia missina – con tutta la buona volontà – io non ho potuto dimenticare di essere stato un giovane militante. E non potevo che essere meno distaccato di quanto ha sempre potuto e saputo essere Giuseppe.
Certo, per fare storia, a parte le testimonianze, le memorie, servono le carte. Ma, come sapete, un archivio nazionale del Msi non esiste. O meglio, sicuramente è esistito e forse esiste ancora, ma non è venuto alla luce.
Per questo, tanti anni fa, con Giuseppe e Giovanni Tassani, abbiamo pensato di creare in Fondazione anche un archivio delle “destre” italiane. Un progetto che poteva fallire, ma che invece, grazie a lui, è diventato una cosa importante. Peraltro ha spinto anche possessori di carte locali a versarle sia negli archivi pubblici sia in fondazioni private.
Non esiste l’archivio centrale missino, ma esistono archivi di sezioni, di federazioni provinciali, di privati, che gli studiosi ora possono liberamente consultare. E non mancano archivi di esponenti monarchici, liberali, qualunquisti, cattolici. Grazie allo sviluppo della digitalizzazione in un futuro che spero non lontano tutto sarà con facilità integrato e disponibile.
Grazie alla perseveranza di Giuseppe, oggi si possono studiare le destre molto meglio di un tempo. Non credo di esagerare se dico che ha restituito alcuni settori importanti della politica italiana alla storianazionale, colmando un vuoto che ne determinava una narrazione approssimativa e spesso distorta. Poi, certo, tutto dipende dalla onestà intellettuale degli studiosi. Però, oggi, è arduo nascondersi dietro la carenza delle fonti.
Il lascito scientifico di Giuseppe Parlato sono le sue opere, il suo metodo rigoroso, e quelle carte con fatica inseguite, trovate e studiate. Mi auguro che i suoi allievi seguano la sua strada. Poi ci rimane il lascito umano, la sua disponibilità, la sua generosità, la sua signorilità. Non lo dimenticherò.