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Israele tra storia e attualità su “HuffPost”

Ottobre 13, 20230

Usa è sempre sporca di sangue questa tua bandiera”. Il 3 gennaio del 2020 sulle pagine social di Gioventù Nazionale Roma e di Colle Oppio, la storica sezione della destra al centro di Roma, appare questo slogan stampato su un manifesto in cui una bandiera statunitense insanguinata si sovrappone all’altrettanto insanguinato volto del generale Qasem Soleimani, il capo delle Guardie della rivoluzione iraniana ucciso da un attacco missilistico di Washington all’aeroporto internazionale di Baghdad. A corredo del manifesto, un post in cui si accusa “l’imperialismo a stelle e strisce” di aver “dissanguato e destabilizzato il Medio Oriente”, celebrando il generale degli ayatollah come fautore “della distruzione dello Stato islamico conseguenza delle strategie” degli Usa. L’istanza che i giovani militanti di Fratelli d’Italia pongono è chiara: “L’Italia deve ridiscutere il suo ruolo nel Patto Atlantico, ormai ridotto ad estensione della politica statunitense, non dovendo più accettare ogni tipo di iniziativa americana”.

A leggerlo oggi, dopo un anno di governo in cui Giorgia Meloni ha fatto dell’atlantismo una delle colonne portanti della sua azione di governo, e dopo ore in cui si è schierata senza se e senza ma al fianco di Israele al seguito degli attentati di Hamas, si potrebbe pensare che non si parli dello stesso partito. “Ma il movimento giovanile della destra tra gli anni ’70 e gli anni ’90 era prevalentemente filo palestinese”, racconta la giornalista Flavia Perina. Erano tre le cause indipendentiste che il Fronte della gioventù in quegli anni adottò facendone una bandiera del proprio attivismo politico: quella irlandese, quella tibetana e, per l’appunto, quella palestinese. Lo slogan più in voga in quegli anni era “Né Usa, nè Urss: Europa Nazione”, ricorda Perina.

“C’era un dibattito vivo su queste questioni nel Movimento sociale italiano” spiega Gianni Scipione Rossi, saggista e profondo conoscitore della storia della destra italiana. Perché in realtà il partito post fascista, che nei primissimi anni dopo la guerra non sosteneva la causa dello Stato di Israele, ma che “già all’inizio degli anni ’50 il segretario Augusto De Marsanich” portò su posizioni filo-atlantiche, d’altra parte nel mondo diviso in due blocchi l’altra parte erano i comunisti. Fu poi Giorgio Almirante a sancire la linea dell’atlantismo come apertamente del partito nel congresso del 1970. “È in quegli anni, anche per contrapposizione politica, che a dar voce alla questione palestinese è la minoranza interna guidata da Pino Rauti”, osserva Scipione Rossi. Secondo la politologa Sofia Ventura “quella era una cultura radicata nella destra, un filone anti americano, pro-palestinese, che per alcuni comportava posizioni anche antisemite”.

Una corrente di pensiero minoritaria nel partito ma che prende velocemente molto piede nel mondo giovanile per almeno due decenni, con strascichi anche successivi. Lo slogan del manifesto raccontato poco sopra è tratto dalla canzone smaccatamente anti-americana Lady Usa, scritta nel 1999 dal gruppo del cosiddetto rock identitario “Hobbit”. L’intera strofa recita: “Nel deserto fra gli ulivi vive un uomo col cuore di roccia, con un kefiah quel guerriero si è coperto la faccia,  il Corano contro l’oro, il coraggio di una stirpe guerriera: USA è sempre alta sugli oppressi questa tua bandiera”.

Secondo Scipione Rossi questa corrente di pensiero ha contribuito ad alimentare i dubbi sull’antisemitismo della destra italiana: “Quando Gianfranco Fini si recò allo Yad Vashem e definì il nazifascismo il male assoluto, lo fece per convinzione, certo, ma anche perché riteneva fosse necessario farlo per allontanare i sospetti. E anche per questo la sua Alleanza Nazionale fu sempre convintamente filo-atlantica, e perché il dibattito sulla questione si andò sterilizzando”. Il contesto in cui Meloni e il gruppo di Atreju crescono politicamente è dunque influenzato dalle pulsioni autonomiste della generazione immediatamente precedente alla loro e alla necessità di un’Alleanza Nazionale nei suoi primi anni di vita in cui il suo leader era impegnato ad accreditare il partito come quello di una destra moderna e occidentale.

D’altronde sulla questione israelo-palestinese si accapigliarono i delegati del Congresso di Viterbo del 2004 in cui Meloni venne eletta capo dei giovani del partito, il primo passo della carriera che l’avrebbe portata a Palazzo Chigi. Racconta Francesco Boezi nel libro “Generazione Atreju” che i delegati dell’avversario Carlo Fidanza – che sarebbe diventato poi uno dei fedelissimi meloniani – contestarono apertamente la visita in Israele di Fini. Erano i giovani dirigenti della destra sociale, e non a caso avevano adottato come slogan congressuale “Una scelta d’amore”, tratto da uno degli scritti di Bobby Sands, alcuni di loro indossavano la kefiah e uno di loro basò l’intero intervento sulla necessità di opporsi a quella che veniva definita “una svolta filo-israeliana”.

“Meloni non poteva non guidare la parte filo-atlantica e filo-israeliana”, spiega Perina, “veniva da Destra protagonista, la corrente di Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa, loro erano dichiaratamente su quelle posizioni già da allora”. Nella storia politica della premier affiorano tracce di quella sensibilità diffusa all’interno del partito e del movimento giovanile in cui ha mosso i primi passi. Da ministro della Gioventù del governo Berlusconi, considerato un profondo amico da Israele, nel dicembre del 2009 si recò in viaggio in Israele per un viaggio che l’Ansa descrisse come “una maratona all’insegna della solidarietà nei confronti dei palestinesi”. La giovane ministra parlando con i cronisti a Betlemme, dove si era recata per donare 200mila euro all’università locale per finanziare progetti di micro-credito dei giovani palestinesi, osservava che “spesso abbiamo paura di questo conflitto che sembra senza fine ma qui vedo tanta gente che cerca di vivere dignitosamente pur in mezzo a difficoltà”. Qualche anno dopo, nel 2014, dopo alcuni scontri a fuoco e degli attacchi israeliani alla striscia di Gaza, la leader di Fratelli d’Italia – che allora contava sette deputati alla Camera – scriveva su Twitter: “Un’altra strage di bambini a Gaza. Nessuna causa è giusta quando sparge il sangue degli innocenti”.

Negli ultimi anni in Fratelli d’Italia il dibattito sembra essersi sterilizzato, nonostante riaffiori episodicamente soprattutto nei gruppi giovanili del partito, e l’unica causa indipendentista sostenuta da Fratelli d’Italia negli anni è stata quella del popolo Sharawi, come lei stessa racconta nel suo primo libro. Nonostante i dubbi iniziali di molti osservatori, la premier ha schierato il suo governo convintamente al fianco degli Stati Uniti e di Israele. “È una questione di storia personale di Meloni, certo, ma anche di opportunità” secondo Flavia Perina, “quando ti ritrovi al governo su queste cose devi fare scelte precise, altrimenti non puoi sederti a parlare con i leader delle democrazie occidentali come è successo qualche sera fa”. La special-relationship con Washington è d’altronde la strategia diplomatica che da anni persegue il governo polacco, stretto alleato di Meloni, che attraverso un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti cerca di avere più spazio e margine d’azione all’interno dell’Unione europea.

Per Scipione Rossi “se la crisi non si risolverà in tempi brevi credo che si manifesterà chi problematizza o critica. Meloni stessa non è mai stata anti-palestinese, ma lei e i suoi coetanei sono cresciuti in un contesto in cui l’idea di ‘due popoli, due stati’ era ampiamente diffusa, anche al di fuori di chi era smaccatamente sostenitore della Palestina”. Ventura afferma di non credere “che quella parte lì non esista più, anche perché non ho mai letto da nessuna parte una rielaborazione critica su quei temi”. Perina coglie forse il cuore della questione: “Mi sembra difficile, perché il fatto è che è proprio il dibattito interno a non esserci più nel partito, lì dentro si fa quel che dice Giorgia, punto e basta”.

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