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L’Ucraina e il 25 aprile sbagliato dei partigiani comunisti

Aprile 17, 20220
Non so, onestamente, quanti partigiani siano ancora in vita. Dal quel 25 aprile 1945 – che si festeggia come giorno della Liberazione – sono passati 77 anni. Chi era giovanissimo – diciamo poco più che adolescente – sta per diventare centenario. Beato lui. Tra questi quasi centenari non so quanti siano iscritti all’Anpi, che è solo una delle associazioni di partigiani, quella che sostanzialmente raccolse i comunisti delle Brigate Garibaldi. Mi chiedo però se questi reduci, cioè quei giovani che nella guerra civile hanno combattuto davvero contro i tedeschi e i fascisti repubblicani, siano consapevoli di essere oggi rappresentati da un signore – tale Pagliarulo Gianfranco – che è nato a Bari nel 1949, e che nel suo curriculum vitae ha il pregio di essere stato funzionario del Pci e poi senatore cossuttiano. Cioè a dire non solo comunista, ma anche strettamente filosovietico. Forse lo sono e ne sono contenti. Forse.
Ma da tempo – per motivi anagrafici – l’Anpi non è più una associazione destinata a riunire solo <tutti coloro che hanno partecipato con azione personale diretta, alla guerra partigiana contro il nazifascismo, per la liberazione d’Italia, e tutti coloro che, lottando contro i nazifascisti, hanno contribuito a ridare al nostro paese la libertà e a favorire un regime di democrazia, al fine di impedire il ritorno di qualsiasi forma di tirannia e di assolutismo>, i loro parenti e <coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche>.
L’Anpi raccoglie piuttosto, per Statuto, ed era inevitabile, pena lo scioglimento, anche coloro che <intendono contribuire, in qualità di antifascisti (…), con il proprio impegno concreto alla realizzazione e alla continuità nel tempo degli scopi associativi, con il fine di conservare, tutelare e diffondere la conoscenza delle vicende e dei valori che la Resistenza, con la lotta e con l’impegno civile e democratico, ha consegnato alle nuove generazioni, come elemento fondante della Repubblica, della Costituzione e della Unione Europea e come patrimonio essenziale della memoria del Paese>.
In questo non c’è niente di male. Anche se l’allargamento mi pare abbia trasformato l’Anpi, di fatto, in una associazione strettamente politica. Anche culturale, in verità. Ma nessuno può negare che anche i partiti politici abbiano finalità culturali. A meno che non si pensi che siano solo congreghe d’affari e abbiano solo finalità di occupazione del potere. Non credo che sia cosi’. Anche quando esercitano un potere politico, i partiti lo fanno sulla base della loro cultura. Non chiamiamola ideologia, termine desueto. L’Anpi, al contrario, fa politica sotterranea, non dichiarata come tale. È ambigua, per intenderci. E le sue posizioni politiche sono abbastanza trasparenti. Per esempio quando non si oppone alle contestazioni che puntualmente si verificano nelle manifestazioni del 25 aprile contro la presenza della Brigata Ebraica. Ora i vertici dell’Anpi sono andati oltre. Esprimendo sull’aggressione russa all’Ucraina posizioni palesemente filo-putiniane. Il che non può sorprendere, se si pensa che la Resistenza ha sì combattuto i tedeschi occupanti e i fascisti repubblicani loro alleati, ma è stato un fenomeno tutt’altro che unitario. Da una parte ci furono i partigiani cattolici, liberali, laici, azionisti, monarchici, dall’altra, appunto, i comunisti. Spesso in contrasto tra loro. Basta forse ricordare la strage di Porzûs, quando, nel febbraio del 1945, 17 partigiani della Brigata Osoppo – cattolici, laici e socialisti – furono uccisi da partigiani comunisti. Da una parte, in sostanza, erano i partigiani che volevano costruire un’Italia democratica. Dall’altra i partigiani che come obiettivo finalistico si ponevano la creazione di una repubblica di tipo sovietico. L’Unione Sovietica e i suoi stati vassalli sono implosi da tempo, ma evidentemente c’è chi li rimpiange. Tra questi tale Pagliarulo Gianfranco. Altrimenti non si spiegherebbero le sue sortite, ultima quella contro l’eventuale presenta nei cortei di bandiere della Nato, che peraltro non si sono mai viste. Lui ora si dice pacifista, dimenticando che i partigiani non lo erano, combattevano con le armi. E non si vede come avrebbero potuto fare altrimenti. I suoi sbagliano anche i manifesti per il 25 aprile, con le bandiere ungheresi – non italiane – esposte alle finestre.
Grande è la confusione sotto il cielo dell’Anpi, quindi la situazione è eccellente, si potrebbe dire parafrasando Mao Zedong. L’Anpi che ha recentemente rieletto il Pagliarulo alla sua presidenza. Nonostante dimostri di non conoscere neppure il suo Statuto, che tra i compiti dell’associazione prevede anche il mantenimento di <vincoli di fratellanza tra partigiani italiani e partigiani di altri paesi>. È logico, se si vuole impedire il <ritorno di qualsiasi forma di tirannia e di assolutismo>. Ma gli ucraini non stanno forse combattendo per impedire questo ritorno nel loro paese? E per loro non vale la <fratellanza>? Per l’Anpi evidentemente non è così. D’altra parte, per fare un esempio, la DDR si chiamava Repubblica Democratica Tedesca. Pagliarulo continua a credere che fosse sul serio democratica. E che lo fosse anche l’Urss. Magari non erano proprio repubbliche liberali, ma sicuramente democratiche. La democrazia dei dittatori, della Stasi, del Kgb, dei Gulag. Nostalgia canaglia.
Potrei andare oltre. Ma preferisco ricordare quanto ha scritto, qualche giorno fa, sul ”Domani”, lo storico Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.
<Qualcuno – ha ricordato – ha voluto ridurre la resistenza armata a una sorta di guerra privata fra fascisti e comunisti. Chi lo afferma non conosce la storia di quei mesi: non erano comunisti i soldati della divisione Acqui a Cefalonia che si rifiutarono di arrendersi ai tedeschi, in nome di motivazioni certo molteplici – l’onore militare, il giuramento di fedeltà al re, la speranza di conquistarsi con le armi il rientro in Italia, in alcuni il manifestarsi di una coscienza antifascista – ma che rappresentarono comunque un segnale di riscossa per tutto il paese, per la patria comune>.
<Non erano comunisti – ha aggiunto – le centinaia di migliaia di soldati italiani internati, dopo l’8 settembre, nei campi tedeschi, senza che venisse loro riconosciuta la qualifica di prigionieri di guerra, che in maggioranza si rifiutarono di barattare la propria libertà con l’adesione al regime di Salò, seppure sottoposti a durissime condizioni di prigionia, alle quali molti non sopravvissero. E se proviamo a declinare al plurale la parola Resistenza, per comprendervi tutta la varietà di comportamenti e vissuti che il popolo italiano mise in atto nei mesi dall’armistizio alla Liberazione, ne ricaveremo anche un’immagine diversa da quella di un’enorme massa di indifferenti al conflitto che si combatteva in Italia fra fascisti e antifascisti>.
<Ma anche solo limitandoci alla resistenza armata – scrive ancora Pezzino – dobbiamo ricordare che, accanto alle formazioni comuniste (nelle quali peraltro non erano comunisti tutti coloro che vi militavano) vi erano gli azionisti, i cattolici, i liberali, le formazioni autonome e quelle composte prevalentemente da militari. Le forze politiche che avevano guidato la Resistenza si legittimarono come nuova classe dirigente dell’Italia proprio in quanto avevano saputo dirigere la lotta contro la dittatura fascista e l’occupazione tedesca, valorizzando ciò che le univa rispetto ai loro programmi divergenti per il futuro dell’Italia; e la Costituzione, che contribuirono ad elaborare, fu un felice compromesso che vide l’apporto di tutte le principali correnti ideologiche e forze politiche, ognuna delle quali rinunciò ad una parte delle proprie posizioni per privilegiare l’accordo con le altre sui princìpi generali che avrebbero regolato la vita della Repubblica>.
Programmi divergenti, appunto. Resistenze diverse. Non so se Pezzino volesse ricordarlo al Pagliarulo. Magari ho capito male. Comunque è un bene che l’abbia ricordato a tutti.

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