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Armando Rocchi, l’anima doppia di un gerarca intransigente

Giugno 17, 20220

Non che fosse sfuggita alla memoria e alla storiografia locale, ma è tuttavia molto utile che l’autore abbia sistematizzato la ricostruzione di queste vicende, che assumono un interesse particolare per il profilo del protagonista. Romano di nascita ma perugino d’adozione Armando Rocchi (1898-1970) fu ufficiale di complemento nella Grande Guerra e poi, nazionalista e monarchico, aderisce al fascismo. Veterinario e agronomo per professione, entra nella Milizia e combatte da volontario in Spagna. Allo scoppio della seconda guerra mondiale sarà in Montenegro. Aderisce quindi alla Rsi e sarà prima vicecomandante della Zona militare di Perugia, dal 24 ottobre 1943 Capo della Provincia (dunque prefetto e insieme segretario federale del PFR), risalendo poi in Emilia Romagna con l’avanzare degli alleati. Un curriculum come tanti. Nel suo caso anche portatore di un “fascismo” intransigente, al punto da essere noto come <feroce> in Montenegro e nella guerra civile, con la fucilazione dei renitenti al bando per gli arruolamenti nell’esercito della Rsi e con sanguinose rappresaglie antipartigiane. Dopo la guerra viene condannato a 30 anni di carcere, poi ridotti in varie fasi, fino all’amnistia del 1959.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Rocchi ha una sorta di vita parallela. Intransigente da un lato, tollerante dall’altro. Le testimonianze raccolte dimostrano che evitò di applicare in modo rigido i provvedimenti antiebraici della Rsi, si oppose ai tedeschi e salvò dalla deportazione e da morte sicura alcune decine di ebrei perugini, limitandosi a radunarli in vari luoghi e, infine, nell’Isola Maggiore del Trasimeno. E di questo i salvati gli dettero pubblicamente atto. Difficile capire le ragioni di questa doppiezza. Il prefatore del volume, Giuseppe Severini, non trova una risposta. E neppure l’autore Stefano Fabei, che ricostruisce i fatti in modo puntuale. Si può fare appello, naturalmente, alla complessità della storia. Nel caso di Rocchi, forse, anche alla complessità dell’animo umano. Quegli ebrei perugini li conosceva perfettamente. Molti erano stati fascisti della prima ora. Qualcosa in lui deve essersi rotto.
Rappresentarlo come uno sconosciuto Giorgio Perlasca, come fa nella breve introduzione Franco Cardini, è probabilmente un eccesso. Più correttamente Fabei nota in conclusione che <Quanto fatto in difesa degli ebrei non assolve il Capo della Provincia di Perugia dalle altre colpe attribuitegli in fase processuale, prima ancora che a livello storico, né può costituire una sorta di compensazione per azioni compiute […] in differenti contesti: azioni per cui è stato giudicato e condannato. Costituisce invece un merito che, seppure a distanza di decenni, doveva essergli, e gli è stato, riconosciuto>. Come spesso accade, la realtà non è sola bianca o nera. Prevale il grigio, in questo caso utile a salvare vite.

(in “Annali della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice”, a. XXXIV, nuova serie, n.1/2022)

Stefano Fabei, Il prefetto Rocchi e il salvataggio degli ebrei. Perugia – Isola maggiore sul Trasimeno 1943-1944, Mursia, Milano 2022

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