GIORNALISMO · ATTUALITÀ · STORIA
Seguimi sui social:

Morti presunte e prefiche lontane

Aprile 9, 20232

In questi giorni due notizie sono circolate tra i “ben informati”. Parlo di giornalisti, non di fruttivendoli. I quali sono esentati dal sapere, finché le notizie non diventano pubbliche. Sanno, giustamente, quel che si dice tra i banchi dei mercati e al bar sotto casa.

Prima notizia, data per certissima: il Papa sta morendo, anzi è morto, stanno preparando le esequie solenni. E giù articolesse sui retroscena vaticani, sugli schieramenti nel conclave imminente, sugli intrighi, sulle correnti ideologiche, culturali, teologiche, geopolitiche. Non è girata la voce sul Papa nero. Ma dategli tempo, girerà. Non sul generale dei gesuiti, attenzione, che nero è detto per tradizione. D’altra parte Francesco è gesuita, dunque da quel versante si è già dato. Io penso che il prossimo Papa sarà asiatico e non gesuita, per dire.

Né si parla di Andreotti, anche lui “omaggiato” di quel titolo. Proprio di un Papa nero africano. Dire solo africano sarebbe sbagliato, perché gli africani non sono tutti neri. Infatti, 54 anni fa di Papa negro scrisse un collega che si diceva esperto di cose vaticane, il simpatico Emilio Cavaterra. S’intitolava proprio così, Il Papa negro, un suo libro uscito per le edizione de Il Borghese nel 1969. Magari qualcuno ne parlò prima di lui, ma io ricordo solo il buon Cavaterra.

Prima o poi, d’altra parte, un Papa nero ci sarà. Mi pare normale. Siccome queste sono righe semiserie, ricordo che dopo la fumata bianca, che fosse nero si pensò (o si temette?) anche di Karol Józef Wojtyła. Quel 16 ottobre 1978 ero accorso in piazza San Pietro. Quando il Camerlengo ne annunciò l’elezione, con quella incerta pronuncia, una voce corse di bocca in bocca: “è negro, il papa è negro”. Vallo a capire che era polacco. Ma chi lo parla il polacco, a parte i polacchi? Poi scesero a frotte, finché la Polonia non rigettò il comunismo, aiutati proprio dal Papa dal cognome impronunciabile, per noi. Voitila, Voitiua, vallo a capire. Con Jorge Mario Bergoglio è stato facile. Si dice Gheorghe, ma insomma che fosse spagnolo o latinoamericano cambiava poco. La cosa cambiava solo per gli spagnoli, gli argentini, i venezuelani etc. etc. Anche il campanilismo nazionale ha i suoi diritti.

Comunque, Papa Francesco non sta benissimo ma non è morto. E io gli auguro lunga vita, a Sua Santità. Anche se sono ancora convinto che quando parla in italiano traduce dall’argentino, senza capire che le sfumature di significato non sono irrilevanti. Perché, scusate la banalità, in spagnolo una macchina si chiama coche e sulle Ande si chiama carro? O il contrario. D’altra parte, se pensiamo ai nostri dialetti… Comunque non è morto. Per il conclave c’è tempo.

La seconda notizia riguarda Silvio Berlusconi. Questa volta è morto, correva voce. Anzi, è morto ieri, ma non lo dicono. Oppure è morto stamane e non lo dicono prima che chiuda la Borsa. Come se la morte di Berlusconi – che non sta bene, ma lunga vita – potesse incidere sul mercato azionario mondiale. Al massimo, un pelo, sugli indici milanesi. Eppure questo girava, qualche giorno fa. Ed ecco che i dietrologi aprono il file – un tempo si sarebbe detto il cassetto – con il pezzo biografico, quello di gossip, quello strettamente politico, quello sulle ville, quello su che fine fa la quasi moglie… Tutto è già pronto, da tempo. Berlusconi, che è un editore, lo sa perfettamente. Mancano solo gli incipit. Riposti i file, tocca ai cronisti politici. Berlusconi non è morto, ma mancherebbe poco. È il tempo degli scenari. Che fine farà il partito personale? Gli orfani si disperderanno? Ci formerà di nuovo un partito unitario di centrodestra, che  però finì male? Regola basica della politica eppure sembra dimenticata. Che fine fece il Partito Socialista Unificato? E, in fondo, che fine ha fatto la somma tra la Margherita e i Democratici di sinistra? E lasciamo stare le altre solidissime unità a due, tre, quattro, cinque simboli.

Ecco il tempo degli analisti, dei retroscenisti scatenati. Non è una critica, la mia. Il loro é un lavoro, mica un gioco. Un lavoro difficile. I coccodrilli son facili. I retroscena no. La caccia alla fonte è un affanno. Soprattutto per le sorti di un partito personale dove il leader può cambiare le carte in tavola in qualunque momento. E dove i dirigenti non possono che ribadire che decide lui. Come, in effetti, è normale che sia. Il resto, il più tardi possibile, è un’altra storia, inconoscibile. Piuttosto, in Italia, i partiti da decenni sono leaderistici, tutti. Se ne facciamo una ragione nel Pd.

Ma il giornalismo è così. Cinico e baro. E resta un mestiere divertente.

Quanto a Berlusconi, dirò la mia dopo. Per ora gli auguro di cuore, come a Papa Francesco, di tener lontane le prefiche. A suo modo, ha cambiato l’Italia. Sarà nei libri di storia. A molti suoi contemporanei della politica al massimo toccherà una nota di due righe. A qualcuno – che pure ci crede – neppure quelle.

Alla sua morte dilatata per chissà quale oscuro motivo non ho creduto. E non ci crederò neppure alle prossime voci. Riuscì forse in Vaticano per qualche antico Papa, in attesa di accordi tra la nobiltà nera, e agli spagnoli con i 53 giorni di finta agonia del generalissimo Francisco Franco. Ma lì si trattava di voltare pagina incruentemente, da una dittatura a una democrazia. Non è questo il caso.

Lunga vita, dunque, Cavaliere. Lunga vita, Santità. Buona Pasqua a entrambi. Quando sarà, ne riparliamo.

2 comments

  • Pier Roberto Merani

    Aprile 9, 2023 at 12:06 pm

    Hai ragione: il giornalismo è cinico e baro. Ma che piacere leggere ogni tanto chi riesce a mantenersi nell’obbiettività!

    Reply

    • Gianni Scipione Rossi

      Aprile 9, 2023 at 12:08 pm

      Grazie! Buona Pasqua

      Reply

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *