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Quei gobbi del Quarticciolo, e non solo

Settembre 12, 20230

Che relazione c’è tra il Quarticciolo e il Parco Verde di Caivano? Da un lato una borgata popolare di Roma, dall’altro un rione di un comune parte della città metropolitana di Napoli. Relativamente distanti, ma non troppo. Su strada appena 218 chilometri. Le distanze vere, in Italia, sono altre. I chilometri tra Bolzano e Siracusa sono 1473, per dirne una. Dunque, per Caivano, tanto per usare un luogo comune, non si può parlare di “periferia dello Stato”. In uno Stato non devono esserci periferie. Se Caivano è – solo geograficamente – periferia, lo è di Napoli, non dell’Italia.
L’ho presa un po’ alla larga per ricordare che Caivano rientra nelle competenze del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. Ovviamente rientra anche nelle competenze di Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania. Ora, non è che Manfredi e De Luca possano essere considerati responsabili della situazione del Parco Verde di Caivano. De Luca, peraltro, si è subito chiamato fuori. I blitz e i decreti non bastano, bisogna fare di più. Questo è il suo mantra autoassolutorio. È vero, per certi versi. Come è vero che il sindaco di Roma Roberto Gualtieri poco può fare per il Quarticciolo. Però può far girare più vigili urbani e chiedere al Prefetto di supportarli con Polizia e Carabinieri. Magari può tenere pulito il quartiere, far potare gli alberi, far manutenere le caditoie, far funzionare i mezzi pubblici, ecc. ecc. E vale per tutta Roma. Ma non può cambiare gli abitanti del Quarticciolo. Non può deportare i pregiudicati. Anche fossero – come è possibile – solo 50. Non possono deportare nessuno nemmeno De Luca, Manfredi e Meloni.

A Caivano ieri hanno sparato. Di notte e di giorno. Don Maurizio Patriciello, parroco del Parco Verde, ha chiarito che si tratta di capire “se c’è una lotta tra i clan, se è stata la maledetta droga. Perché una cosa va detta con grande chiarezza: il Parco Verde è diventato una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa e la vengono a comprare i napoletani professionisti, quelli con la cravatta, la camicia, quelli che poi vengono chiamati dottori”. Insomma, peggio del Tossic Park di Torino. Lo zoo di Berlino – per averlo visto pochi mesi fa – non mi sembra più quello del 1978, quello di Christiane F. Ma troppe piazze di spaccio ci sono in Italia, in Europa. E non tutti i clienti indossano la cravatta.

Sono poco distanti ma soprattutto vicini il Quarticciolo e il Parco Verde. C’è lo spaccio. C’è la piccola e grande delinquenza. C’è un mondo parallelo e sotterraneo che non vediamo. O vediamo, senza preoccuparcene perché pensiamo che non ci riguardi. In realtà riguarda tutti. Non solo quel 90 per cento di abitanti del Parco Verde che, secondo Don Patriciello, sono bravissime persone – e c’è da credergli – costrette a vivere in un mondo in cui si stupra, si uccide e si spaccia. Ma parallelo è anche il popolo delle cravatte, che pure frequentiamo facendo finta di niente.

Che fare, dunque? Dire che i blitz non bastano è banale. Servono. Come serve che il presidente del Consiglio testimoni con la sua presenza la volontà dello Stato.
Non bastano neppure gli autovelox, la polizia stradale, i vigili urbani per impedire la quotidiana strage sulle strade. Di ragazzi, nella notte. Eppure le norme ci sono. Non si può guidare facendo i video col telefonino e nemmeno messaggiando su whatsapp. Non si può guidare ubriachi, e neppure drogati. Le patenti vengono ritirate. Si sa. Ma il mondo parallelo sembra impermeabile ale regole e ai rischi.

Ci vuole altro. Ci vuole educazione. In famiglia. Nelle scuole. Sui luoghi di lavoro. Nelle città e nei quartieri. Ci vogliono centri di aggregazione sociale. Vogliamo dire che ci vorrebbero più Salesiani in giro? O magari educatori laici? Non che manchino. Ma contrastare la cultura della morte e, dunque, formare una nuova cultura, non è facile. Nessuno, neppure i vertici delle istituzioni hanno la bacchetta magica. Siano essi sindaci, presidenti, assessori, ministri, prefetti, questori, presidi parroci, rabbini, imam.

Il pestaggio del Quarticciolo

Non ho una ricetta. Sono solo amareggiato. Mi dispiace che tante caserme dei Carabinieri facciano ormai orario d’ufficio e per cercarli in un paese devi andare a premere il pulsante d’allarme. Per non dire dei vigili urbani. A monte c’è la cultura della morte. A valle è carente il controllo del territorio. Non solo a Caivano e al Quarticciolo. Dove, nella sostanza, è accaduto questo: uno scippatore ha aggredito una signora novantenne. Una banda di giovani ha aggredito e pestato lui. Lo scippatore è stato arrestato ma subito liberato. Qualcuno, sui social e non solo, si è detto contento del pestaggio. Come se un gruppo di bravi ragazzi sia intervenuto in supplenza delle forze dell’ordine assenti. Ma non può, non deve, neppure sui social, passare la tesi che ci si può fare giustizia da soli. Il passante che interviene – ovunque – per difendere un anziano da uno scippo è una bravo e coraggioso cittadino. Poi chiama il 118. Da medaglia. Ma la banda, presto individuata, non è intervenuta per salvare la signora. L’obiettivo era ben diverso. Lo ha fatto per certificare il controllo del territorio. In una logica mafiosa, o camorrista, la banda ha voluto dire: questa è la nostra zona e un estraneo non può rovinarci la piazza. Qui i capi siamo noi. Paradossalmente per i delinquenti la piazza deve essere tranquilla, sennò si rovina il mercato.
Può darsi che al Parco Verde di Caivano si sia scatenata una lotta tra clan. Ma è più probabile – credo – che la sparatoria sia stato un messaggio allo Stato: qui comandiamo noi. E continueremo a comandare. Fate tutti i blitz che volete, ma non riuscirete a fermarci.

Affrontare la questione culturale è ovviamente fondamentale, ma di prospettiva. Il controllo del territorio costa, molto, ma è una premessa necessaria, indispensabile, urgente. Ovunque si intravveda un problema. Il mondo non diventerà un Paradiso, ma qualcosa in più si può fare rispetto a quello che non si è fatto, e dunque tollerato, per decenni. Anche al Quarticciolo, l’ultima borgata popolare costruita a Roma dall’Istituto Fascista Autonomo Case Popolari, su progetto dell’architetto Roberto Nicolini, padre del futuro architetto e assessore alla cultura di Roma Renato, quello che genialmente inventò l’Estate Romana. La borgata cominciò ad essere abitata nel 1943. Famiglie numerose, mutilati, vedove di guerre, ex squadristi. Lì arrivò, proveniente dalla Calabria, anche la famiglia di Giuseppe Albano. Giovanissimo (era nato nel 1926), diventò famoso come capobanda. Non riuscivano ad arrestarlo e per i giornali diventò il Gobbo del Quarticciolo. Figura controversa, non è mai stato appurato con certezza se fosse solo un pericoloso bandito o un bravo partigiano. E, se partigiano, di quale frazione. Le tesi sono svariate. Nel 1960 Carlo Lizzani gli dedicò il film Il gobbo. Silverio Corsivieri ha ipotizzato un complotto (Il re Togliatti e il gobbo. 1944: la prima trama eversiva, Odradek 1988).

Comunque, durante un’azione della sua banda, rimase ucciso un caporale inglese. I Carabinieri circondarono il Quarticciolo. Il Gobbo riuscì a fuggire ma, ormai riconosciuto, fu individuato e ucciso il 16 gennaio del 1945, nella Roma liberata ma occupata dagli angloamericani, nell’ androne di un palazzo del quartiere Della Vittoria. Appresa la notizia, Attilio Tamaro appuntò nel suo diario: “Un grande eroe della “gloriosa lotta clandestina”: il “gobbo della Garbatella”, detto ora del “Quarticciolo”. Se ne parlò molto e con mistero durante l’occupazione tedesca: il leone dei partigiani, si sussurrava, l’inesorabile giustiziere di tedeschi e di fascisti… si contava quanti ne avesse uccisi e la sua giovanissima età aggiungeva fascino al suo “patriottismo”. Ora hanno scoperto che era uno dei più volgari furfanti, il capo di una banda di briganti, ladro, rapinatore, omicida, autore di non si sa quanti misfatti e l’hanno ucciso. Era tale l’aureola del partigiano, che, in onta a numerose denuncie, lo lasciavano lavorare in libertà e impune. Oggi, si direbbe, l’abbiano cercato soltanto perché i carabinieri volevano vendicare due camerati da lui assassinati. È risultato inoltre come molto probabile, che abbia reso servizio d’informazione ai tedeschi, proprio ai vari Kappler di via Tasso e così importanti che questi, avutolo nelle mani, lo lasciarono libero, perdonandogli i loro uomini ammazzati (Attilio Tamaro: il diario di un italiano, Rubbettino 2021, p. 938)”.

Forse la verità sul Gobbo non si saprà mai. Capita. La storia non è una scienza esatta. Gli spacciatori del Quarticciolo, di Caviano, di dove volete, sono però noti e sicuramente colpevoli. Le retate si fanno e si possono fare. Magari all’improvviso. Senza uccidere, a meno che i banditi non sparino. Ma metterli in galera si può. Sperando che il magistrato di turno non li liberi subito, come ha fatto con lo scippatore di via Manfredonia, Quarticciolo, Roma.

Poi si possono far risorgere i quartieri degradati. E questo riguarda anche i sindaci e i presidenti regionali. Chiedano finanziamenti straordinari su progetti dedicati. Ma poi agiscano.

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