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Iattura ed elogio del refuso

Dicembre 6, 20230

Ho letto solo qualche riga. Non cito l’autore del libro appena acquistato, peraltro suggerito da una bella recensione su un quotidiano nazionale. Sarebbe scorretto. Ne parlerò, se ne vale la pena, quando lo avrò letto tutto.

Dopo poche righe mi sono fermato. E le ho rilette. Potevo essermi distratto. Invece c’è scritto proprio così: <ancora oggi, a settant’anni dalla fine della dittatura>. Quella italiana fascista, s’intende. Ma, che io sappia, la dittatura fascista è finita il 25 luglio 1943, con il voto del Gran Consiglio che ha messo in minoranza Mussolini, e con la nomina regia di Badoglio al suo posto. Non è finita dieci anni dopo, nel 1953.

Come sia stato possibile, per uno storico di professione, commettere un errore così marchiano, non riesco a comprenderlo.

Prima ipotesi: il libro appena uscito è la seconda edizione aggiornata di un testo scritto e pubblicato dieci anni fa, magari su una rivista. È possibile, anche se non ho trovato riscontri. Se così fosse, sarebbe grave colpa dell’autore e della redazione editoriale. Una seconda edizione non è una semplice ristampa, né un “riciclo”. È appunto una revisione aggiornata tenendo conto di riflessioni o fatti successivi.

Seconda ipotesi: l’autore ritiene che la dittatura termini con l’evaporazione della repubblica sociale, fondata da Mussolini nel settembre del 1943 e implosa nell’aprile del 1945. Comunque sarebbero trascorsi 78 anni, invece di 80, certo non 68. Ma la dittatura fascista in Italia finisce formalmente due anni prima. Dopo si può parlare di una dittatura neo-fascista che governa su una porzione d’Italia, che con l’avanzata degli Alleati si restringe di mese in mese, fino a diventare una ridotta. Tuttavia il fascismo repubblicano ha contenuti politici ed ideologici, sia pure largamente teorici, ben diversi da quelli del regime dittatoriale precedente.

Terza ipotesi, meno probabile: l’autore utilizza la definizione di fascismo non in senso storico, ma ideologico. Cioè una sorta di fascismo eterno, che non può morire  e si rigenera assumendo di volta in volta autodefinizioni diverse ma caratteristiche permanenti: la dittatura, o almeno l’aspirazione a crearla, il rifiuto della democrazia, la violenza e la sopraffazione, la costrizione della libertà personale e di pensiero, per dirne alcune. Ma seguendo questo criterio, il comunismo realizzato sarebbe fascismo, come ogni sistema di governo autoritario, a guida laica o religiosa. Fascista sarebbero la Cina laica e l’Iran teocratico, e ancora moltissimi altri regimi, presenti e futuri. Insomma, l’Ur-Fascismo di Umberto Eco. Una semplice etichetta, quindi, che può contenere qualsiasi cosa. Per esempio, secondo i detrattori, anche l’iperliberismo di Trump, che con il regime fascista storico nulla ha a che vedere. Quel fascismo era, in economia, statalista, non liberista.

Con questo criterio, fatalmente, l’ombra del fascismo continuerebbe in eterno a gravare sull’Italia, dove l’etichetta è stata inventata. Non sulla Russia che, prima, ha instaurato una dittatura comunista. Dunque una dannazione perpetua. Non credo che l’autore in questione intenda questo. Lo scoprirò.

Non resta, per ora. Che valutare una quarta ipotesi: il dannatissimo refuso. Nella sua accezione più larga. Dannato perché incombe su chiunque scriva e pubblichi. Romanzi, saggi, poesie, articoli, didascalie, titoli, trattati scientifici. Incombe su tutti.

I refusi sono sempre esistiti, intendiamoci. Dai tempi degli amanuensi. Ma prima della scrittura immateriale, quando si stampava a piombo, il refuso era sempre colpa del proto, cioè il capo dei tipografi. Inversione o caduta di lettere, tutto era colpa del proto. O del correttore di bozze. Che esiste ancora, ma non così diffuso come una volta. E non si può più dare la colpa al correttore e al proto. La puoi dare a te stesso o al correttore automatico.

I refusi sono naturalmente involontari, frutto della fretta, del rileggere guardando senza vedere. Ne sono pieni libri di editori grandi e piccoli. Danno fastidio. Disturbano. Ma non sono tutti uguali. Dipende. Se parli di calcio, e scrivi che il portiere raccoglie la pala invece della palla, fa solo sorridere. Già più problematico è scrivere casa del supermercato invece di cassa.

Dipende, naturalmente, anche dal lettore. Chi se lo ricorda che, almeno fino ai primo Novecento, coltura e cultura erano intercambiabili? E che ha mangiato si poteva scrivere a’ mangiato, come ancora si usa in corso. In lingua corsa, s’intende, non passeggiando sul corso.

Peggio va con nomi e cognomi. Facile il refuso Paolo-Palo. Il mio correttore automatico ha cambiato Franchetti in Fraschetti. Colpa mia. Dovevo accorgermene. Solo i coltissimi correttori di bozza di una volta potevano farsi venire il dubbio. Eppure ciò che appare o viene spacciato come un refuso è spesso un errore. Ed errore vuol dire sciatteria, se non ignoranza. Per dirne una personale, se mi chiami Scipioni invece di Scipione non sai che Scipioni è certamente un cognome, mentre Scipione è un nome proprio, salvo casi rarissimi. Se chiami Paolo il defunto presidente del consiglio Goria, invece di Giovanni, sei ignorante. Non è neppure un lapsus. Semplicemente non ti sei preso la briga di controllare.

Piuttosto, il correttore automatico Goria lo trasforma in Gloria. Preso in presto. Attenzione.

Insomma, il cosiddetto refuso è un iattura. Ma può essere qualcosa di ben diverso. Può essere persino utile, come rivelatore di una superficialità che tradisce una incultura – non incoltura – profonda. Dunque anche il refuso presunto merita un elogio. E quando lo si incontra è bene rifletterci. Non è sempre colpa del proto. Ne’ del correttore automatico.

Prima o poi scoprirò dove son finiti quei dieci anni mancanti. La dittatura mussoliniana non è finita nel 1953. Sicuro. In quell’anno sono nato io e si tennero le seconde elezioni parlamentari italiane. Con la cosiddetta “legge truffa”, che proprio truffa non era. Avrebbe garantito solo un premio di maggioranza alla coalizione che avesse superato il 50% dei voti. La maggioranza assoluta era già raggiunta. Ma in termini di eletti si arrivava al 65%. Troppi? Mah… per poco il premio non ci fu. Se fosse passato, garantendo stabilità, forse avrebbe cambiato la nostra storia. Chissà.

Ps. Qualunque refuso in queste righe tra il serio e il faceto non è colpa mia…

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