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Roma e la nostalgia di Ernesto

Giugno 12, 20220

Spesso, quando si parla dei gravi e annosi problemi di Roma, viene evocato un nome: Ernesto Nathan. Più evocato che conosciuto, in verità, come giustamente sottolinea Fabio Martini, giornalista politico non nuovo a incursioni nella saggistica, che ne ha scritto una convincente biografia. Nathan è passato attraverso la narrazione degli orecchianti come il “più grande” sindaco della capitale, un modello da imitare. Nel decisionismo, certo. Nella capacità di attuare un programma per certi versi visionario, con l’abilità di scegliere collaboratori di vaglia e di muoversi nei meandri della politica, non solo capitolina, in epoca giolittiana. Perché allora come ora governare Roma è impossibile senza la consapevolezza che sulla città incombe la presenza del governo nazionale. Ernesto Nathan fu sindaco dal 1907 al 1913, alla guida di una inedita coalizione tra liberali, repubblicani, socialisti e radicali nel tempo del voto per censo, e in sei anni riuscì in effetti a cambiare il volto di una Roma ancora gravata dalla difficile transizione tra Papato e Italia unitaria. Ci riuscì con idee chiare e moderne sull’istruzione pubblica, sui trasporti urbani, sulla gestione dei servizi, e forse soprattutto con il varo di un piano regolatore fatalmente osteggiato dai proprietari terrieri, afferenti sia alla nobiltà “nera” sia a quella “bianca” e “bigia”, per non dire dei nascenti “generoni” e “generetti”, la borghesia cittadina che comincia a scalzare i poteri economici e politici dell’epoca papalina.

Ci riuscì da romano d’adozione. Ernesto era nato Ernest, a Londra, il 5 ottobre 1845, dall’agente di cambio ebreo tedesco Meyer Moses Nathan e dalla pesarese Sara “Sarina” Levi. Casa Nathan era l’accogliente rifugio londinese di Giuseppe Mazzini. Come di Meyer si disse che fosse figlio illegittimo di un Rothschild, di Ernesto si sussurrò che fosse figlio parimenti illegittimo di Mazzini. Al di là delle voci, Sarina fu una strenua mazziniana. E mazziniano fervente fu Ernesto, che nel 1859 si trasferì in Italia e sposò Virginia Mieli, per poi stabilirsi a Roma nel 1870. Ebreo, massone, anticlericale, repubblicano mazziniano, aveva capacità dialettiche, oratorie ed educative straordinarie, accompagnate, appunto, da una forte vena di pragmatismo, grazie alla quale poté contribuire a creare la Roma della modernità novecentesca. A Roma morì nell’aprile del 1921, mentre l’Italia liberale stava declinando. Sulla sua tomba al Verano è scritto: <Credo in Dio nella religione della mia amata madre se- guace di Giuseppe Mazzini>. Merito dell’autore aver sottratto la sua figura alla dimensione mitologica per renderla concreta, senza retorica.

Fabio Martini, Nathan e l’invenzione di Roma. Il sindaco che cambiò la Città eterna, Marsilio, Venezia 2021

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