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La Carta non è un totem

Agosto 1, 20220

Scrittori, giornalisti, registi, attori, cantanti, influencer… Purché manifestino allarme per la possibile vittoria del centrodestra il prossimo 25 settembre. Com’è tradizione i giornali “militanti” scendono in campo per diffondere la Grande Paura. Fin qui, sono stati interpellati soprattutto stranieri. L’inglese di cui si annuncia un futuro libro sul neofascismo. Lo spagnolo preoccupato da Vox, anche se poi mica tanto. L’americano iper-liberal. Ecc. ecc. È uno schema consolidato. A un cronista – ma anche a chiunque abbia un minimo di memoria storica – tutto ciò non può che ricordare il clima del 1994. La Grande Paura allora si concentrava su Berlusconi. Ora Berlusconi – dopo decenni di insulti – è considerato quasi una ciambella di salvataggio. Il “nemico” oggi si chiama Meloni. In subordine Salvini.

Non trovo nei giornali – cartacei e non – interviste a italiani qualunque. Chessò, un contadino, un operaio, un barbiere, un avvocato, un commercialista… Così, per capire che cosa pensino, al di là dei sondaggi, che per fortuna possono essere diffusi solo fino al 10 settembre. I giornali, per altrettanta fortuna, in democrazia, potranno scrivere qualunque cosa e intervistare chicchessia, fino all’ultimo minuto. È rimasto famoso il <turatevi il naso ma votate DC> di Indro Montanelli del 1976, quando l’Italia “moderata” temette il “sorpasso” del Pci. Chissà quanti nasi turati vedremo nelle prossime settimane…

Per ora, dicevo, si intervistano “intellettuali” stranieri. Un’eccezione di qualche rilievo si è registrata su “Repubblica”, che il 30 luglio ha pensato bene di chiamare in causa lo storico Giovanni De Luna. Storico, sì, ma per chi non lo sapesse è bene ricordare che negli anni Settanta era un militante di Lotta Continua. Non esattamente un campione di democrazia. Siccome siamo tutti “reduci” di qualcosa, e non amo il reducismo, non ne faccio una questione dirimente. Si cresce, s’invecchia. Anche facendo lo storico. Chi più chi meno. Poi alcune differenze di fondo rimangono.
Dunque Giovanni De Luna, da storico, non dà l’allarme per il fascismo incombente. Il pericolo è un altro: <In caso di vittoria delle destre, la democrazia italiana correrebbe un rischio molto grande. Ma non dobbiamo cercarlo nell’ipotetico ritorno del fascismo, un’esperienza storica consegnata all’irripetibilità del Novecento. Piuttosto nella possibilità che questa destra cambi la carta costituzionale: per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana potrebbe avere i numeri sufficienti per farlo. E i suoi valori restano antitetici a quelli della religione civile degli italiani nata con la Costituente>.

Non pretendo di essere un costituzionalista. Non c’è bisogno di esserlo per sapere che la Costituzione italiana è “rigida”, e dunque si può modificare solo attraverso un processo legislativo molto complesso. È stata modificata moltissime volte, dal 1947 a oggi. Per dirne una, in origine il Senato durava in carica 6 anni, contro i 5 della Camera. La norma costituzionale, tuttavia, fu cambiata di fatto con lo scioglimento anticipato del Senato nel 1953 e nel 1958. Solo nel 1963 la pari durata diventò norma.
Modifiche e integrazioni non è detto che abbiano sempre migliorato la Carta. Per fare un esempio che mi sta a cuore, tra il 1999 e il 2001, fu inserita la norma che attribuisce la rappresentanza degli italiani all’Estero con 12 deputati e 6 senatori. Giusto promuovere il voto degli italiani non residenti in Italia. Sarebbe bastato consentire di votare dall’estero per le liste presentate nelle circoscrizioni nazionali, magari a scelta. Invece il battagliero promotore Mirko Tremaglia volle la “riserva” con le circoscrizioni estere. Il tema è diventato tabù. Nelle prossime Camere quei “riservisti” saranno 8 alla Camera e 4 al Senato, anche se ormai tutti sanno che quelle liste autonome create in Sud America o in Australia non sono esattamente commendevoli. Un giorno, forse, si riuscirà a correggere l’errore. Forse.

Comunque, per quanto “rigida”, la Costituzione si può cambiare e sarebbe ben strano che così non fosse. Nemmeno la Costituzione è un paracarro. Certo, è complicato. De Luna non può non sapere che l’articolo 138 della Carta dispone: <Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti>.

In sostanza, per evitare il ricorso al referendum, un’eventuale riforma costituzionale promossa da un centrodestra vincente, dovrebbe essere votata da 267 deputati su 400 e da 138 senatori su 200+6. I 6 sono senatori a vita. Per quanto sconnessa sia l’attuale legge elettorale, parzialmente maggioritaria, e per quanto possa essere immaginata larga la vittoria del centrodestra, sono numeri non raggiungibili, da nessuno. Ancora non è chiaro se e come si concretizzeranno accordi a sinistra, ma le più recenti simulazioni danno – in via di pura ipotesi – al centrodestra 244 deputati e 125 senatori. I due terzi sono lontani come Marte.

Ma anche fosse, perché mai ci si dovrebbe preoccupare? Le Costituzioni si possono cambiare ed è stato sempre fatto. Per tornare a qualche anno fa, al 2006, la riforma promossa da Renzi  fu affossata nel referendum da Renzi stesso. Troppa carne al fuoco aveva messo, non comprensibile per i cittadini normali. Un errore politico grave, che ha trasformato un leader che appariva simbolo del cambiamento in una meteora.

Tornando a Giovanni De Luna, la sua massima preoccupazione è che <l’attuale destra italiana è totalmente estranea alle grandi famiglie politiche confluite nella Costituzione: liberale, cattolica, azionista, social-comunista.  […] Questo è stato il miracolo della Costituzione, che l’attuale destra potrebbe non aver il pudore di distruggere>. Qui lo storico dimentica di essere uno storico e torna militante. Perché sorvola su alcuni “particolari” non irrilevanti. L’Italia di oggi non è quella del 1946-47. Gli italiani non sono più quelli. Il mondo intero non è più quello. Dimentica persino che, in tema di “morale”, di costumi sociali, il Pci di Togliatti era più “bacchettone” della Dc. O vogliamo dimenticare proprio la storia?

Così, per rinfrescare la memoria, rileggo un articolo pubblicato proprio da “Repubblica” l’1 dicembre 2018, a firma Michele Smargiassi. S’intitola L’amore al tempo del comunismo: le lettere di Nilde Iotti a Palmiro Togliatti.

<Era passato un anno – scriveva Smargiassi – da quando il Migliore, incontrando nei corridoi di Montecitorio quella deputata di Reggio di ventisette anni più giovane, quella ragazzona comunista dallo sguardo fiero, e le aveva azzardato una leggera galeotta carezza sul capo. Inizio dello scandalo, del segreto più noto e meno detto della morale comunista; perché Togliatti era sposato, rivoluzionariamente sposato con una compagna, Rita Montagnana, con cui aveva condiviso persecuzioni esili clandestinità e battaglie internazionaliste, con cui aveva fatto un figlio (dalla vita infelice, ma è un’altra storia). L’etica puritano-proletaria del partito rumoreggiava. Mandarono in missione il segretario della Federazione di Reggio, Otello Montanari (sì quello del “chi sa parli”, un’altra storia ancora…), a Botteghe Oscure (dove già la coppia più notoriamente clandestina d’Italia abitava in un sottotetto di tre stanze) per dirglielo, e il Capo neppure alzò lo sguardo dalle carte che stava firmando con la stilografica a inchiostro verde: “Hai finito compagno Montanari? Grazie, puoi andare”, e quello rinculò interdetto e mortificato. Come unica conseguenza, Iotti fu spostata di collegio elettorale, da Reggio a Bologna>.

Crede davvero De Luna che un centrodestra vincitore vorrebbe tornare alla morale puritano-proletaria?

Ma questa è una battuta. Resta il fatto che cambiare la Costituzione si può e, per molti versi si deve. Continuare con aggiustamenti parziali non è la strada giusta. In questo, mi appello a un altro storico, purtroppo scomparso, Renzo De Felice. Che ho stimato più di quanto stimi – come storico – De Luna. Ebbene, De Felice, già una trentina di anni fa, sosteneva: <La nostra Costituzione, nel momento storico in cui fu approvata aveva un suo significato e un suo valore. Probabilmente, nei suoi lineamenti essenziali, non avrebbe potuto essere diversa. Ma oggi non va più bene, e accomodarla non si può. Occorre una Costituente che la rifaccia da cima a fondo>. Sono d’accordo. Magari, nella prossima legislatura, ci si riesce. Anche se per ora non vedo traccia di proposte di riforme costituzionali nel dibattito politico.

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Ps. Per chi fosse interessato all’intera riflessione di De Felice, rimando a R. De Felice, Scritti giornalistici. <Facciamo storia, non moralismo> 1989-1996. Volume III, Luni Editrice, Milano 2019, con mia prefazione.

 

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