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Visto da Londra

Novembre 21, 20220

Probabilmente capita a tutti. A me sempre. Appena lasci l’Italia, non da frontaliero, non la dimentichi, ma cambi la percezione. Londra non è agli antipodi. Ci arrivi in un attimo. Però, soprattutto mancando da tanti anni, acuisci lo sguardo, cerchi di capire. Che la Regina non ci sia più si sa. Ora c’è un Re. Buono o cattivo che sia. È un problema veramente inglese, forse del Commonwealth, mio sicuramente no. Il resto va scoperto.

Grosso modo nel cuore turistico non c’è molto di nuovo. Intorno a Piccadilly Circus la solita folla, i soliti teatri, le luci, i taxi comodi, che magari averli noi. Il solito marciare contromano, che lo sai, ci hai anche provato, ma sulle prime continua a sorprenderti. Come a un inglese sorprende la mano destra a Roma.

Comunque, tutto normale. Che abbiano lasciato l’Unione Europea non si capisce girando nelle strade. Ho la sensazione che prima o poi se ne pentiranno. Checche’ ne pensino, il loro sentirsi impero è preistoria. Oggi è una mera illusione. Tuttavia, girando un po’, qualcosa di nuovo c’è, a Londra. Cantieri, tanti cantieri. Un lavoro febbrile, che fa spuntare ovunque grattacieli vetro-acciaio, che sembra quasi di essere a Manhattan. Non so se sia giusto cambiare volto a una città. A Roma non sarei contento. Ma non è questo il problema. Qui vengo da visitatore. Londra non è mia. A colpirmi è questa frenesia. Se costruiscono, vuol dire che la città è viva. I cantieri ci sono anche da noi, grazie ai bonus facciate, ma non è la stessa cosa. Sono opportune azioni di recupero di una bellezza invecchiata, non rinnovamento urbano. Da noi si costruisce, banalmente, nelle periferie estreme, non in città. Non è la stessa cosa. Almeno questa è la mia impressione. Poi, per carità, anche la Gran Bretagna è in crisi, lo sappiamo. Non tutto oro quello che luccica. Politicamente sono allo stremo. Però non sembrano immobili.

Non lo siamo neppure noi, in verità. Dopo anni tristi. Da Londra ci pensi meno, sei più distaccato. Poi, però, per abitudine, apri i giornali italiani. E un po’ ti preoccupi. Per certe prese di posizione politiche che, francamente, denotano un deficit di cultura, una visione passatista, ai limiti del ridicolo. E ti chiedi se chi si appella alle tradizioni abbia mai riflettuto sul fatto che quella italiana è fatta di innovazione, di invenzione, di corsa verso il nuovo, di Rinascimento, non la banale conservazione del vecchio, del putrido.
Oggi mi sento molto futurista. E mi chiedo: ma ti pare che debba essere un vescovo a ricordare che i sacramenti non si pagano? Il bonus matrimonio, religioso o civile, no, per cortesia. Non è che poi finanziamo anche i pranzi di battesimo, di cresima, di
bar mitzvah. E perché non le feste di laurea, che son tornate tanto di moda? Concentriamoci , magari, sulla ripresa economica, sul lavoro. Senza lavoro è un po’ difficile che i giovani si sposino, diciamo…

Visto da Londra.

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