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Bare, retorica, responsabilità

Marzo 1, 20230

Nell’immediato ho taciuto sulla tragedia del Crotonese, perché è difficile dire qualcosa di sensato davanti alle immagini di cadaveri che affiorano dalle onde. Credo si possa solo piangere per le vite spezzate. Per rispetto. Perché non è la prima volta che accade e, purtroppo, non sarà l’ultima.

Tuttavia girano sui social commenti demenziali. In sostanza, la strage sarebbe responsabilità del governo perché quei profughi potevano essere salvati. Come, non si sa. Oggi il direttore della Stampa, Massimo Giannini, azzarda la tesi della “strage di Stato”. Allora riavvolgiamo il nastro. Due pullman partono da Istanbul, direzione Smirne, dove li aspetta una imbarcazione, che salpa carica forse di 180 migranti. Presto va in avaria. I migranti vengono traslocati su un motopeschereccio da rottamazione.

Istanbul, Smirne, Turchia. La Turchia colpita da poco da un terremoto catastrofico. Dicono che le vittime siano 40 mila. Non sarei certo del numero. Né per la Turchia né per la Siria, anch’essa colpita. L’Italia – come altri paesi – si è subito mobilitata per portare aiuto. Senza stare interrogarsi sul perché, in Turchia, che più dell’Italia è zona sismica, si siano costruiti palazzi interi senza alcun criterio. Se ne occuperà Erdogan, forse. D’altra parte anche noi ci abbiamo messo del tempo, e qualche tragedia, per imporre rigide regole edilizie antisismiche. E speriamo che, un giorno, non si scopra che non bastavano.

L’ho presa alla lontana. Smirne è una grande città della Turchia asiatico-mediterranea. Che in quella città fiorisca da tempo il traffico dei migranti è notissimo. La Turchia, nostra alleata in quanto membro della Nato, non se ne preoccupa. Sta a guardare. Che esista una organizzazione criminale che fa pagare la traversata dai 7 ai 10mila dollari a persona non la tocca minimamente.

Che il flusso di immigrazione clandestina verso l’Europa non provenga solo dal Nord Africa lo sappiamo. In parte si dirige via terra nei Balcani. In parte via mare verso lo Jonio. Non vanno a Cipro, né a Malta, perché non li fanno sbarcare. E comunque non sono le due isole europee l’obiettivo. È l’Europa continentale. Neppure l’Italia in quanto tale. L’Italia è solo una tappa. Anche questo è noto, notissimo. Sarebbe meno pericoloso puntare sulla Grecia. Ma, poi, si tratta di proseguire via terra, e attraversare l’Albania, il Montenegro, la Croazia. Ci vogliono mesi. Oppure la Macedonia e su, verso Nord. In sostanza, è più facile promettere l’Italia, anche se si deve circumnavigare il Peloponneso. I disperati ci credono e pagano. Della loro sorte –  e di quella degli stessi scafisti – l’organizzazione criminale – detta in italiano – se ne frega. E sbarcano, a migliaia. Poi capita che gli scafisti, che sono marinai, capiscano che il mare promette tempesta. Ma preferiscono rischiare che attraccare in Grecia.

Questa è la storia. Non nuova. Tutti sanno tutto. L’Unione Europea sa, perfettamente. Ma non riesce a definire una strategia comune. Che vuol dire trattare con la Turchia per impedire il traffico.

Non è facile. Non perché la Turchia sia cattiva. Semplicemente perché i trafficanti sono organizzati. Se controlli Smirne, partono da Hessechi, per dire. Da una spiaggia qualsiasi. L’unica vera strategia è pattugliare con assiduità le coste, con le navi e gli aerei. Un costo immenso. Noi lo facciamo. La Turchia meno. Anche se le motovedette della sua Guardia Costiera sono prontissime ad accostarsi a barche da diporto greche che, magari per qualche metro, “invadano” le acque territoriali turche. Comunque, riuscire fermare tutti e a salvare tutti con mare in burrasca è tecnicamente impossibile. Perché gli scafisti usano imbarcazioni fatiscenti. Se affondano, non c’è danno. Se i migranti affogano, se ne fregano.

Ora, sui social e non solo, le menti elevate dicono che i naufraghi di Crotone potevano essere salvati. Avvistato il motopeschereccio da rottamazione, all’aereo di Frontex, dal cielo, sembrava navigare tranquillo. Poi la burrasca. La Capitaneria chiede a un pescatore di verificare sul posto, vicino a casa sua. Vede il barcone sfasciarsi su una secca e dà l’allarme. Il barcone era diventato ingovernabile. Una immensa tragedia. Può anche darsi che ci sia stato un errore umano tra il generico avviso del Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo diramato alle 4.57 di sabato 25 febbraio. Inevitabile quanto opportuna l’inchiesta della magistratura. Ma sostenere che sono stati fatti affogare per ammonire i trafficanti non è polemica politica. È ipocrita follia.

C’è una via d’uscita? Si può fermare il traffico? Con seri accordi internazionali si può contenerlo. Eliminarlo del tutto non credo. Da quanto tempo parliamo di immigrazione clandestina? Trenta, quarant’anni? E non si è fermata. Non si è fermata perché se vivi in un luogo invivibile ci provi a rincorrere il mito della libertà e del benessere. Ci speri. A costo di rischiare la vita. L’Europa, come l’America, è un sogno. Per capirlo basterebbe guardare il film Europa di Haider Rashid. Credo sia il più recente, del 2021, ma ce ne solo molti. Alcuni solo banalmente retorici. Altri utili per capire.

La questione non è di chi sia la responsabilità. Si fugge dai talebani, per dire, ma non è che si possano sterminare i talebani. Di guerre inutili ce ne sono state fin troppe.

Il problema è comunque a monte. Che l’Europa possa accogliere tutti i fuggiaschi del mondo è semplicemente falso. Accoglierli dignitosamente, dico, non per farne nuovi semi-schiavi. Magari per accorgersi, dopo, che alcune culture sono estranee ai nostri valori. Scoprendo matrimoni combinati, violenze familiari. Indignandosi, ancora. L’integrazione è un processo lungo, complesso. Il buonismo delle anime belle serve a poco. L’unico modello storico almeno parzialmente applicabile è quello di governare le migrazioni. Si tratta di decidere quanti migranti si possano realmente accogliere. Per farlo, si deve trattare con i paesi di emigrazione. Siano essi il Bangladesh, l’Iraq o il Senegal. E poi con i paesi di transito, che siano la Turchia, la Libia, l’Egitto, il Marocco, la Tunisia…

Sarà pure un modello antico, che ha riguardato la nostra emigrazione, anch’essa dolorosa, piena di tragedie, prima nelle Americhe, poi in Europa. Ma altro modo non c’è. Dopo, resta solo il soccorso. Doveroso. Ma il rischio zero non esiste. E si raccolgono cadaveri. Non solo nel Crotonese. Al largo della Libia e della Tunisia, alle Canarie. Decine di morti in poche settimane. Secondo alcune fonti in dieci anni i morti nel Mediterraneo sarebbero stati 26mila. 1600 nel 2022. Tutti “naufraghi di Stato”?

Non sono cinico. Se fosse in mio potere farei qualsiasi cosa per salvarli. Ma sono contrario alla retorica fine a se stessa. Peraltro è una retorica, in Italia, a corrente alternata.

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