Mi è capitato tra le mani – a volte accade – un libro di quelli che si definiscono di modernariato. Non è antico, e neppure banalmente vecchio. È una via di mezzo. Ed essendo una via di mezzo non ha un valore commerciale rilevante. Se lo trovi su una bancarella o su ebay, te la cavi con poco. Ha un titolo lungo, come si usava a quel tempo: La Dalmazia, sua italianità, suo valore per la libertà d’Italia nell’Adriatico. Ci ho fatto caso perché tra gli autori, tutti irredentisti, c’è anche Attilio Tamaro. Da biografo del triestino mi preoccupo sempre di aver perso qualcosa di importante nel scrivere della sua vita e delle sue opere. Gli psicologi la chiamano sindrome dell’impostore.
Dunque ho temuto di non aver consultato questo testo contenuto in un volume a più voci, collettaneo, come si dice. In realtà – ho appurato – si tratta solo della riproposizione di un saggio già apparso nella “Rivista di Roma”. Lasciamo allora da parte Tamaro e concentriamoci sull’editore: A.F. Formìggini – Editore in Genova. Data di pubblicazione 1915. 108 anni non son pochi, ma neppure abbastanza per parlare di antiquariato. Angelo Fortunato Formìggini da Modena. Da Collegara, per la precisione, borgo agricolo ai margini della città. Lì nacque, il 21 giugno 1878, il futuro editore.
In Bologna, per cominciare. Nel 1908, pubblicando la Secchia, contiene sonetti burleschi inediti del Tassone e molte invenzioni piacevoli, vagamente illustrate, edite per la famosa festa mutino-bononiense del 31 Maggio MCMVIII. Titolo lungo, anche questo. Edito in Bologna-Modena AF. Formiggini -. Editore. L’avventura di quello che sarà chiamato il filosofo del ridere si era iniziata.
Si trasferì a Genova nel 1912, e a Genova creò la collana I classici del ridere, il suo monumento. Accanto al mensile L’Italia che scrive, che nella storia dell’editoria ha ancora un suo posto di rilievo. Un punto fermo nell’arte della promozione e della diffusione editoriale. Tutto il resto verrà dopo, prendendo spunto dal precursore.
Dunque Formíggini è a Genova quando pubblica il libro “irredentista”, mentre si arruola per la Grande Guerra. In divisa per poco, nel 1916 scende nella capitale, dove nasce la A.F. Formíggini Editore in Roma. Sede nei pressi di Piazza Venezia, affacciata sulle rovine romane, che saranno poi i Fori Imperiali.
Angelo Fortunato, figlio minore di una antica famiglia ebraica modenese, è stato un genio. Nell’editoria e nella cultura. Massone dal 1903 – loggia Lira e Spada – è stato un italiano di quel tempo. Un italiano a tutto tondo, come si poteva esserlo nell’epoca del patriottismo romantico post-risorgimentale. Laico, liberale, colto, ed “ebreo, anche”, come acutamente lo definisce Marco Ventura in questa biografia, Il fuoruscito. Storia di Formíggini l’editore suicida contro le leggi razziali di Mussolini. Una biografia fuori schema, che si legge – o si può leggere – come un romanzo senza essere un romanzo. Una formula innovativa, che alterna scritti del biografato e pagine accuratamente biografiche, grazie allo scavo nelle carte conservate a Modena.
Non starò a farne una sintesi. Questo libro va letto e gustato. Si potrebbe dire molto, a cominciare dalla sua lite con Giovanni Gentile. Nel 1921 l’editore fondò l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana, ente morale. Voleva creare una grande enciclopedia italiana. Quando Gentile divenne ministro della Pubblica Istruzione l’istituto cambiò nome in Fondazione Leonardo per la Cultura Italiana. Nel 1923, per presunte irregolarità amministrative, il ministro lo costrinse alle dimissioni. Due anni dopo la Fondazione fu assorbita dall’Istituto Nazionale Fascista di Cultura presieduto dal filosofo. Invece dell’enciclopedia di Formíggini nascerà la Treccani di Gentile.
Formíggini non aspettò il primo volume dell’Enciclopedia Italiana per reagire. Nell’ottobre del 1923 lo fece con il suo stile, pubblicando La Ficozza Filosofica del Fascismo e la Marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole. Dove scrisse che <il fascismo è una gran bella cosa visto dall’alto; ma visto standoci sotto fa un effetto tutto diverso>. Forse l’unico appunto che si può fare al lavoro di Marco Ventura è la forzatura che deriva da quel giudizio, peraltro largamente anticipatore di un sentire collettivo, ma posteriore. Formíggini non fu un fascista militante, ma uno come tanti, a suo modo. Nessuno lo costrinse a pubblicare, nel 1927 – quando i testi mussoliniani andavano a ruba – gli articoli raccolti in Battaglie giornalistiche, a cura di Alberto Malatesta.
Ma particolari e dettagli della sua vita vanno letti nel libro, senza saltare le pagine di Angelo Fortunato. A cominciare dalle prime. Quelle che scrisse prima di salire, il 29 novembre 1938, sulla torre Ghirlandina di Modena, per poi lanciarsi nel vuoto. Dopo i provvedimenti per l’espulsione degli ebrei dalle scuole, il 17 novembre furono varati con Regio Decreto Legge i primi provvedimenti antisemiti di carattere generale. L’“ebreo, anche”, l’italiano geniale, volle lasciare il suo testamento spirituale e culturale. Un grido di dolore, una condanna etica, contro coloro che – Mussolini in testa – decidevano di trasformare la sua Patria in un non luogo dove non era più concesso vivere per quel che si è, che si vuol essere, che si ha il diritto di essere. Il tradimento di una storia, il rovesciamento della ragione.
Eccone un brano:
“Cani” è la parola giusta, è l’insulto riservato agli ebrei dalla notte dei tempi. Una parola che mi è rimasta impressa. Giacomo Organelli da Padova, predicatore dei primi del Cinquecento, propugnava il cattolico Monte di Pietà contro gli ebraici banchi di pegno e ricordo quella frase: <Molti puti e altra gente davano fastidio a quei cani zudei>.
Secoli di progresso sono passati invano. Sono anch’io un “cane giudeo”! Oggi, vedo tutto con estrema limpidezza. Dopo una vita in salita, scendere mi sarà più facile. Raggiungerò le trifore del quarto piano, a quarantanove metri d’altezza, quanto basta per non rischiare di sopravvivere, e potrò abbracciare per l’ultima volta, con lo sguardo, la mia Modena, nitida nonostante la foschia, a fuoco nella lente della memoria, lucida come una cartolina col Cimone, la Bassa, il Palazzo ducale, piazza Mazzini, la Sinagoga, il ghetto… Anche l’invisibile ghetto interiore nel quale i mamsèr, i bastardi, non riusciranno più a chiudermi.
E neanche sembrerà che nel discendere io mi allontani dal cielo, spiritualmente mi ci avvicinerò e raggiungerò la più alta quota nell’istante in cui il mio corpo avrà toccato la quota zero. Perché l’umanità non è finita. Perché l’umanità non può finire. Perché l’umanità non finirà mai.
Nulla si può aggiungere.
Marco Ventura, Il fuoruscito. Storia di Formiggini, l’editore suicida contro le leggi razziali di Mussolini, prefazione di Aldo Cazzullo, Piemme, Milano 2023
Ringrazio Emanuele Calò per aver ritenuto opportuno pubblicare questo testo nel blog dell’Osservatorio Enzo Sereni.
http://www.osservatorioenzosereni.it/2023/03/04/perche-lumanita-non-puo-finire/
2 comments
Pingback: Perché l’umanità non può finire – Osservatorio Enzo Sereni
Gianni Scipione Rossi
Aprile 4, 2023 at 8:10 am
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