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Vita-Finzi e le delusioni della libertà

Marzo 27, 20230

«Di fronte ai molti mali che affliggono, ai molti pericoli che insidiano, ai molti scandali che avviliscono la difficile vita politica del nostro paese, libera sì ma contraddittoria e imperfetta come tutte le cose umane, è sempre possibile che malgrado le tristi esperienze del passato risorgano in nuova veste l’aspirazione alla dittatura e la tentazione totalitaria». Con queste righe Paolo Vita-Finzi chiudeva nel 1979 la prefazione alla seconda edizione di Le delusioni della libertà (Pan editore). L’Italia, dopo l’omicidio di Aldo Moro, era in pieni anni di piombo. Il mondo non stava molto meglio. In qualche anfratto irraggiungibile della mia libreria conservo quel libro, che in prima edizione era apparso diciotto anni prima per Vallecchi, “sponsorizzato” da Giuseppe Prezzolini.

Ritrovarselo oggi tra le mani, riedito dall’Istituto Bruno Leoni, è un bene. Per certi versi è persino un ammonimento. Perché certi temi non scadono. Ed è anche un bene che questa nuova edizione contenga un apparato critico di grande valore: un saggio introduttivo di Francesco Perfetti e l’introduzione del curatore Claudio Giunta.

Nato a Torino nel 1899, morto a Chianciano Terme nel 1986, di Paolo Vita-Finzi si è sostanzialmente perduta la memoria. Forse perché il suo liberalismo è col tempo diventato desueto, e viene il dubbio che lo sia sempre stato. Forse perché – pur avendo scritto e pubblicato tanto – da anticonformista è stato lontano dai pensieri correnti nelle diverse stagioni che ha attraversato. Non si può dire che sia stato sconosciuto. Di questa sua raccolta di saggi, in gran parte pubblicati sul “Mondo” di Mario Pannunzio, sì occupò persino Palmiro Togliatti. Ma certo, come si suol dire, non ha “fatto opinione”. Troppo scomodo. Troppo critico. Troppo eccentrico. Troppo risorgimentale ottocentesco. Eppure, forse proprio per questo suo profilo culturale, capace – rileva Francesco Perfetti – di svelare «il retroterra culturale del Mussolini rivoluzionario e il peso che nella sua formazione avevano avuto il sorelismo, l’élitismo paretiano e il fermentante ambiente vociano assai più che le suggestioni reazionarie dei nazionalisti». E il primo volume della biografia defeliciana di Mussolini in quel 1961 non era ancora uscito. Per questo Le delusioni della libertà «fu un libro anticipatore della svolta storiografica degli studi sul fascismo che si sarebbe avuta negli anni successivi».

«È un libro sorprendentemente attuale – nota Claudio Giunta – non perché vaticina il nostro presente», bensì «perché tocca questioni che non hanno smesso di essere al centro della vita pubblica del nostro paese: la sfiducia o addirittura l’odio nei confronti della democrazia parlamentare e dei corpi intermedi; l’insofferenza per le procedure che impediscono o rallentano il processo decisionale; il sospetto nei confronti delle élite e, simmetricamente, la devozione a un ideale quasi messianico di popolo soprattutto da parte di chi al popolo è alieno per censo e per cultura; la riduzione della questione politica a questione morale; la seduzione che l’azione risoluta, anche violenta, esercita sugli intellettuali cosiddetti impegnati».

Vita-Finzi non era un accademico. Ma forse più di un accademico fu in grado di cogliere la realtà in evoluzione. Volontario nella Grande Guerra, cominciò da giovane giornalista. Nel 1924 vinse il concorso ed entrò nella carriera diplomatico-consolare. Volontario fu anche nella guerra di Spagna, con il corpo di spedizione italiano che affiancò Franco. Ebreo, nel 1938 fu espulso dalla carriera e dovette rifugiarsi con la famiglia in Argentina, dove riprese la professione e fondò la rivista antifascista “Domani”. Reintegrato nel 1945, sarà poi ambasciatore ad Oslo e a Budapest, senza mai perdere il gusto – anche ironico – per la saggistica, nella quale riversa le sue osservazioni culturali e politiche. Tutto si ritrova nell’autobiografia postuma Giorgi lontani (il Mulino, 1989).

Console nella georgiana Tblisi, scrive, con lo pseudonimo Peregrinus, Grandezza e servitù bolsceviche. Sguardo d’insieme all’esperimento sovietico, pubblicato nel 1934 dall’Istituto per l’Europa Orientale. È interessante scoprire – nei carteggi scovati dal curatore Giunta – che Vita-Finzi chiese a Delio Cantimori una recensione sulla rivista “Leonardo”, diretta da Federico Gentile, figlio del filosofo Giovanni. Ancor più interessante scoprire che al futuro comunista non piace che Vita-Finzi – definito «conservatore» – noti che «La rivoluzione sovietica è appunto il più grande tentativo di deviazione degli istinti, di razionalizzazione della storia, il più grande atto di violenza che l’umanità sinora ricordi». Il console si riferisce allo sterminio dei kulaki, alle deportazioni forzate in Siberia, che coinvolgono anche italiani che avevano scelto di emigrare nella terra dei bolscevichi. «Ottimo giudice della ragion di stato», obietta Cantimori, l’autore «si preclude con quelle osservazioni ogni più profonda comprensione della rivoluzione sovietica». E ricorda che «i nazionalsocialisti hanno imparato molto dai bolscevichi». Un anno dopo, sempre su “Leonardo”, Cantimori criticherà la versione italiana del Mein Kampf hitleriano, perché in qualche modo avrebbe censurato il vero significato del razzismo nazista.

Vita-Finzi ringrazia Cantimori, «anche se – gli scrive – non posso essere in tutto d’accordo col Suo giudizio. Convengo con Lei, ad ogni modo, che le Rivoluzioni, come certi quadri moderni, guadagnano assai viste da lontano, da molto lontano…». Una replica sarcastica, che fa tornare alla mente quanto scrisse l’editore Angelo Fortunato Fomíggini: «il fascismo è una gran bella cosa visto dall’alto; ma visto standoci sotto fa un effetto tutto diverso». Lo scrisse nel 1924, nel libro antigentiliano La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Giovanni Gentile lo aveva estromesso dalla sua fondazione Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana, che trasformò in Fondazione Leonardo per la Cultura Italiana, da quell’anno editrice della rivista mensile “Leonardo”. Quella, appunto, diretta dal figlio Federico.

La storia è piena di paradossi. Per le edizioni di Formíggini, Vita-Finzi nel 1927 aveva pubblicato la sua Antologia apocrifa, raccolta di parodie degli scrittori italiani. Fu un successo. L’ironia non gli mancava.

 

Paolo Vita-Finzi, Le delusioni della libertà, a cura e con introduzione di Claudio Giunta, saggio di Francesco Perfetti, IBL Libri, Torino 2023.

 

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