Se una coalizione politica al governo, in una tornata elettorale regionale, raccoglie il 48,8% dei voti e il suo candidato alla presidenza – Truzzu – prende il 45%, e perde, non c’è molto da almanaccare. Questo è accaduto in Sardegna. Il centrodestra ha perso, male. Ha vinto Todde, con il 45,40. Spiccioli, si può dire. Un vittoria sul filo di lana. Ma Todde, l’ignota pentastellata che ormai viene dipinta come una sorta di Eleonora d’Arborea in versione murgiana, ha vinto a dispetto della sua coalizione, che si è fermata al 42,6%.
Il resto sono chiacchiere. Anche se la leggere elettorale sarda avesse previsto un ballottaggio, Todde avrebbe vinto lo stesso. Magari d’un soffio. Ma avrebbe vinto. Difficile pensare che i pochi elettori dell’ex presidente Soru avrebbero votato per Truzzu, punito dai suoi stessi concittadini cagliaritani. Probabilmente sarebbero rimasti a casa.
Non amo il confronto tra i risultati di tempi e elezioni diverse. Regionali e comunali, nella logica degli elettori, sono molto distanti dalle politiche, e anche dalle imminenti europee. Lo spiega bene il proliferare di liste civiche o semi-politiche che tutte le coalizioni aggregano, con l’obiettivo di rastrellare il massimo possibile di voti grazie al richiamo di una pletora di candidati. Ci sta. È una scelta tecnica più che politica. Funziona, pur se si corre il rischio di ritrovarsi nel consigli regionali e comunali singoli eletti capaci di condizionare pesantemente le scelte di presidenti e sindaci. Personalmente preferirei un bipolarismo trasparente.
In ogni caso, le cose stanno così. Ma resta il fatto il fatto che, per esempio, confrontare le percentuali sarde di FDI di oggi (13,7%) con quelle di cinque anni fa (4%) e con quelle delle politiche (23%) significa poco. E lo stesso vale per gli altri partiti. Le liste “civiche” drenano voti che, tendenzialmente, se domani si votasse per il Parlamento, tornerebbero a casa. Se tutti o in parte non si sa, ma se tornassero solo in parte sarebbe una reale sconfitta per quel partito.
Dunque, a prescindere dalla percentuali, resta il dato di fondo. Il centrodestra ha perso la guida di una Regione, che tuttavia era guidata dalla strana alleanza tra Lega e Sardisti. Ora sarà guidata da una esponente non del PD, ma dei 5S, che ha quasi la metà dei suoi voti. Che sia un successo politico del cosiddetto campo largo non è così sicuro. Perché il PD, in realtà, ne esce politicamente ridimensionato rispetto al partito di Conte. Gli ha, nel concreto, regalato l’aria.
E veniamo al centrodestra. La scelta di Truzzu – che si è assunto la responsabilità della sconfitta – e’ stata raccontata come una prova di forza della Meloni, oggettivamente sottorappresentata nei governi regionali. In parte è così. FDI, largamente maggioritario nella coalizione al governo, non può che percorrere la strada del riequibrio. Quindi il problema di riproporrà nelle prossime scadenze regionali. L’uscente Solinas, che ha tifato per il voto disgiunto, non godeva di grande apprezzamento popolare. Al di là della battaglia tra FDI e Lega, in questo caso era quasi necessario cambiare cavallo. Ma, quando si decide di cambiare cavallo, bisogna fare bene i conti. Ed è questo il vero problema che si pone al centrodestra: capire se il cambiamento sia veramente necessario. Le europee, dove si corre ognuno per sé con il proporzionale, rischiano di avvelenare i pozzi nel centrodestra, esattamente come avverrà nel campo largo che non matura. Anzi, è probabile che PD e 5S si allontaneranno, perché Schlein rischia di perdere il ruolo di prima forza di opposizione.
In entrambi gli schieramenti si dovrebbero abbassare i toni delle polemiche fratricide. Nei prossimi giorni capiremo. Certo, nel centrodestra, Salvini non può non aver notato che la FI di Tajani riprende fiato. Ma rincorrere estremismi e ambiguità di vario tipo gli conviene? L’idea che gli elettori di centrodestra non siano, nella loro stragrande maggioranza, niente di diverso che rappresentanti di un’Italia moderata, liberale, europeista e atlantista, è una distorsione della realtà. Come distorsiva e’ l’idea che gli elettori di sinistra siano, in maggioranza, appassionati della retorica dei diritti.
La Sardegna, con tutto il rispetto, non è la Lombardia, o il Lazio, o l’Emilia Romagna. I numeri sono quelli che sono. Ma il voto sardo ha dato molti segnali, sui quali i partiti non potranno che riflettere a fondo. Tutti. Al di là dei titoli dei giornali di oggi. Si va dall’Aria nuova in Sardegna del “Fatto” filo-contiano, allo Schiaffo al governo della “Stampa”. Siamo ai toni da tifoseria delle curve. Forse il migliore è quello del “Giornale”, che registra l’Autogol del centrodestra. Di autogol, in effetti, si è trattato. E gli autogol, alla lunga, si pagano.