Nonostante i grattacieli a tortiglione e i boschi verticali, se oggi un architetto ci proponesse di costruire una casa <mobile smontabile meccanica esilarante> e <senza facciata>, lo prenderemmo per matto. Se in questa casa, <per fare il bagno l’inquilino dovrà fare un salto di un metro nell’acqua>, e la sala da pranzo dovrebbe essere almeno dieci metri sopra il tetto, raggiungibile solo con <un sistema di corde e pertiche>, a essere gentili invocheremmo un TSO. Qualcuno, nel 1917, deve aver preso per matto il conte Vincenzo Fani Ciotti, che diffuse queste idee nel suo Decalogo dell’architettura futurista. Matto invece non era il nobile viterbese che, dopo un ondivago percorso intellettuale, era approdato al movimento merinettiano, e infine al fascismo, proponendosi come teorico di una destra del partito mussoliniano che stava per farsi regime, pur essendo un contenitore di tendenze culturali le più disperate. Come Fani Ciotti – poi Volt – nel corso della sua breve vita.
Breve e paradossale, se si pensa al contesto familiare in cui nacque, nel 1888, nella Viterbo che in fondo da poco aveva perduto il ruolo di capitale del Patrimonio di San Pietro. Era nato dal conte Fabio e dalla contessa Maria Martuzzi. Il fratello di Fabio, Mario, fondò a Viterbo il Circolo di Santa Rosa e poi, a Bologna,nel 1867, la Società della Gioventù Cattolica Italiana, nucleo originario della futura Azione Cattolica.
Il percorso di Vincenzo avrebbe potuto essere analogo a quello dello zio, morto ad appena 24 anni e in odore di santità. Una famiglia radicalmente cattolica, antiliberale, antimassonica quella dei Fani. Eppure, pur studiando dai gesuiti, il primo impegno pubblico di Vincenzo sarà nella Lega democratica nazionale del sacerdote modernista Romolo Murri, scomunicato da Pio X. Scrittore e polemista poliedrico, Volt sarà poi attivista nazionalista, imperialista, futurista, fascista, antisindacalista, monarchico, reazionario, ma mai inquadrato, sempre capace di esprimersi liberamente e controcorrente. Mussolini lo considerò tra i precursori, ma ne enumerò moltissimi, anche a casaccio. Chissà che cosa pensava del Fani Ciotti convinto che <la dittatura di un solo uomo di Stato è una istituzione necessariamente provvisoria e legata alle sue qualità individuali>, e dunque deve essere sostituita da una <nuova aristocrazia>. Chissà.
Volt, attratto da tutte le correnti culturali di fine Ottocento e primo Novecento, tutte le attraversò, senza alcuna coerenza. Ma certo in modo genialmente provocatorio, come mette in evidenza Alessandro Della Casa nel suo studio La dinamo e il fascio. Volt, l’ideologo del futurismo reazionario (Sette Città, Viterbo, 2022). Un libro importante, che riesce a tratteggiare il pensiero cangiante di una personalità complessa e contraddittoria.
Il conte viterbese Fani Ciotti, morto nel 1927, a 39 anni, non ebbe la ventura di poter valutare a posteriori – e magari sistematizzare – il proprio percorso intellettuale. A cominciare dal rapporto con quel fascismo cui aderì senza poter immaginare che cosa sarebbe stato nei sedici anni successivi. Resta la sua genialità di irregolare, che per certi versi appare testimonianza e simbolo di un’epoca, il primo Novecento, che correva in modo disordinato e arrembante verso la modernità. L’epoca in cui si celebravano la velocità e il cemento armato, si voleva abolire il matrimonio e si santificava il libero amore. In fondo, dopo, non si è inventato molto. A pensarci bene.