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Simboli, fiamme e ipocrisie

Agosto 14, 20220

Dato il clima, qualcosa del genere me l’aspettavo. Ma mai avrei immaginato che fosse Liliana Segre a entrare a gamba tesa nella campagna elettorale, sollevando una questione sul simbolo di Fratelli d’Italia, che contiene anche una fiamma tricolore.

Ho grande rispetto per la signora Segre, nominata nel 2018 senatrice a vita dal presidente Mattarella <per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale>. A una persona con il suo vissuto non ho molto da dire. Posso solo inchinarmi di fronte alle sofferenze subite. Nata nel 1930, a 8 anni fu espulsa dalla scuola pubblica a causa delle ignobili leggi razziali del 1938. Poi, poco più che tredicenne, il 30 gennaio 1944, fu deportata ad Auschiwtz-Birkenau. Dei 776 ragazzini deportati, fu una dei soli 25 sopravvissuti allo sterminio.

Di origine ebraica, Liliana era in realtà battezzata cattolica. Ma le leggi razziali non tenevano in conto la fede praticata, bensì, appunto, la presunta “razza biologica”. Figlia di due ebrei, ebrea era considerata. Questo è accaduto nel nostro paese, per scelta di Mussolini, con l’avallo di Vittorio Emanuele III. La folle alleanza con la Germania di Hitler ha fatto il resto. Non si può dimenticare. Non si può perdonare. Come non si può perdonare e dimenticare l’indifferenza con la quale la stragrande maggioranza degli italiani di allora videro sparire compagni di banco, vicini di casa, amici. E lo dico sapendo perfettamente che tra quegli italiani sono compresi i miei genitori, i miei nonni. Ne sono addolorato. Posso capire il contesto storico-culturale, non perdonare. Ma ogni tanto mi chiedo: io come mi sarei comportato? Perché è troppo facile e comodo dirlo oggi.

Mi torna sempre in mente quello che scrisse a Mussolini Angelo Fortunato Formíggini prima di suicidarsi dalla torre Ghirlandina della sua Modena, il 29 novembre 1938:

<Duce,

Questa volta ti sei proprio sbagliato.

Non lo sapevi che i primi inventori del razzismo in Italia sono menagramo di conclamata contagiosa ultrapotenza e superstizioni medievali? E non è pieno medio evo questo in cui ci hai precipitati?

Salva la Patria dal maleficio se non vuoi che tutto crolli: senza Giustizia e senza umanità è follia governare un paese come il nostro. Tutti i tuoi ministri, tutti i tuoi funzionari ti ubbidiscono per non essere defenestrati. Ma l’intera nazione si vergogna. Nessuno osa dirtelo. Ma tutti sanno che per fare un Impero hai convertito V. Veneto nella più umiliante sconfitta.

Il tuo genio proteiforme possa suggerirti la via per rimediare al tristo errore. Siimi grato dell’avvertimento.

Ti saluto con un grido terribile:

Italia! Italia! Italia!

Il 24 novembre aveva scritto questa Epigrafe:

Lui

Razzismo: / Caporetto del Fascismo. / Il Sommo Duce è diventato matto:  / il ‘38 è un novello ‘24.

E ancora, a Mussolini, nell’Ultima ficozza:

Il fascismo è una gran bella cosa visto dall’alto: ma visto standoci sotto fa un effetto tutto diverso. […] Pensa che diresti e faresti tu del fascismo se ci fosse uno solo che ti precedesse di un grado. Diresti: Che porcheria! E avresti, questa volta, veramente ragione.

(in A.F. Formíggini, Parole in libertà, a cura di Margherita Bai, Artestampa, Modena 2009, p.68, 107-108 e 162. I ed. 1945)

So bene che antisemitismo e antigiudaismo sono sempre esistiti ed esistono ancora, trasversali alle politiche e alle culture, prima e dopo il periodo fascista. Affiorano periodicamente come le acque di un fiume carsico. Li combatto entrambi. Come persona e come cattolico. Consapevole anche delle colpe della Chiesa alla quale appartengo, come Liliana Segre.

Ma, mi chiedo, che c’entra la fiamma del simbolo del partito di Giorgia Meloni? La quale Meloni, pochi giorni fa, ha affermato in un video: <La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche>. Non so perché lo abbia fatto, perché per chiunque abbia una sia pur minima conoscenza della storia della destra italiana tutto ciò è scontato, da ben prima della cosiddetta “svolta di Fiuggi”. Avrà avuto le sue ragioni, dovendo rivolgendosi a un pubblico non italiano.

Comunque, e questo mi ha sorpreso, Liliana Segre ha ritenuto di intervenire, dicendo: <Nella mia vita ho sentito di tutto e di più, le parole pertanto non mi colpiscono più di un tanto. A Giorgia Meloni dico questo: inizi dal togliere la fiamma dal logo del suo partito>. Il che presuppone che consideri quella fiamma testimonianza di un persistente legame con il fascismo storico. Ma, per chi conosca la storia di quel simbolo, così non è. La fiamma tricolore non era un simbolo fascista. Richiama, piuttosto, la fiamma nera simbolo del corpo degli Arditi, creato nel 1917 nell’esercito come una formazione di assaltatori. Finita la Grande Guerra, nel 1919 fu sciolto. Gli Arditi si dispersero. In parte fiancheggiarono lo squadrismo del fascismo nascente, in parte – gli Arditi del popolo – il partito socialista e poi il partito comunista.

Quando, alla fine del 1946, ex fascisti crearono il Movimento Sociale Italiano, scelsero la fiamma tricolore, non nera, come simbolo di rinascita patriottica, dopo quella che molti italiani avevano vissuto come “morte della Patria”. A torto o a ragione. Nelle elezioni politiche del 1948 il MSI si presentò con quel simbolo e, pur essendo ancora vivissima la contrapposizione fascismo-antifascismo, nessuno lo contestò. La Costituzione repubblicana – e non poteva essere altrimenti – aveva vietato la ricostituzione del Partito fascista, non di un partito di destra. Né di un partito nostalgico della monarchia.

Il MSI raccolse certamente una parte del personale politico fascista, ma neppure la maggioranza, migrata negli altri partiti, compreso il PCI. Nel primo congresso missino, nel 1948, fu Augusto de Marsanich a indicare quale avrebbe dovuto essere il rapporto con il fascismo sconfitto, con l’appello “non rinnegare, non restaurare”. In sostanza, non rinnegare il proprio vissuto personale, ma non porsi l’obiettivo di restaurare il regime mussoliniano. Peraltro de Marsanich, per chi non lo ricordasse, era lo zio di Alberto “Moravia”, figlio della sorella Teresa Iginia e dell’architetto ebreo Carlo Pincherle. La storia è complicata, anche quella delle famiglie. Nel 1922 de Marsanich, come Formíggini contrario al sionismo, che tra gli italiani ebrei ebbe pochissimo seguito, scrisse sulla “Rivista di Milano” contro l’antisemitismo che cominciò a diffondersi dopo la pubblicazione dei falsi “Protocolli dei Savi di Sion”, definendoli <balordaggini>.

Ora, al MSI si possono rimproverare molte cose, come a tutti i partiti della Prima Repubblica. E anche a quelli attuali. Non si può negare che tra i suoi militanti vi fossero nostalgici. Come non si può negare il filo-stalinismo del PCI e dei socialisti di Nenni. Non si può negare, per fare un altro esempio, che i 7 parlamentari missini della prima legislatura (6 deputati, un senatore) votarono nel 1949, con comunisti e i socialisti, contro l’adesione italiana al Patto Atlantico. Ma non si può neppure dimenticare che l’anti-atlantismo missino – proprio grazie a de Marsanich – durò solo fino al dicembre 1951, mentre quello socialcomunista durò qualche decennio. E un residuo anti-atlantismo è ancora presente, trasversalmente, nell’estrema sinistra e nella estrema destra antisistemiche

La storia è complessa e si dovrebbe conoscerla bene. Tutta. In realtà, anche grazie alla amnistia voluta da Togliatti, la nascita del MSI fu una sorta di miracolo laico. Scongiurò una guerra civile strisciante e rafforzò la neonata democrazia Italiana. Anche Togliatti ha fatto cose buone.

Almeno questo la senatrice Segre dovrebbe ammetterlo. E non solo perché, come è stato ricordato, rientrata, per grazia di Dio, in Italia, sposò l’avvocato cattolico Alfredo Belli Paci, anche lui reduce dai campi di concentramento nazisti, per aver rifiutato di aderire alla Rsi. Conservatore, antifascista, Belli Paci, negli anni Settanta, era presidente della formazione “Unione Popolare Nazionale – Costituente per la Libertà”. Come tale, nel 1979, si candidò alla Camera nella lista del MSI-Destra Nazionale, al numero 6 per la circoscrizione Milano-Pavia. Per questo sembra che i coniugi abbiano molto discusso e Belli Paci lasciò la politica. Capita.

Però è curioso che l’avvocato, da conservatore qual era, si sia candidato – se lo riteneva fascista e antisemita – per il partito guidato da Almirante, e non, per esempio, per Democrazia Nazionale o per il Pli.

Non è strano, ma certo curioso, che un anno dopo le elezioni del 10 giugno 1979, il 2 giugno 1980 sia apparsa sul “Corriere della Sera” una lettera di protesta della Segre per come la Rai aveva dato conto della creazione del Memoriale italiano di Auschwitz, realizzato dall’Aned (Associazione Nazionale Ex-Deportati). Una lettera indignata, molto indignata. Intitolata redazionalmente Le vere vittime dei Lager nazisti. Eccola:

Sono una ex deportata razziale, sopravvissuta del campo di sterminio di Auschwitz, dove sono stati uccisi, passando per il camino, mio padre Alberto Segre e i miei nonni Olga e Giuseppe Segre. Segui con disgusto e sdegno, l’escalation di un falso storico che si sta attuando con successo: <I deportati uccisi nei campi di sterminio erano politici e quasi tutti di estrema sinistra>. La realtà invece è ben diversa: i deportati dei campi di sterminio erano per la maggior parte ebrei e solo eccezionalmente politici civili o militari. Il massimo si è forse raggiunto in occasione dell’inaugurazione del monumento in memoria (trasmissione di sabato 24 maggio sulla prima rete RAI) eretto dopo 35 anni ad Auschwitz dagli italiani. Fra le gigantografie di Gramsci e Matteotti e di altre figure che con la deportazione non c’entrano affatto, è rimasto appena un angolino per ricordare simbolicamente quegli uomini e quelle donne, quei vecchi e quei bambini (anche neonati) assassinati solo perché erano ebrei.

Liliana Segre (Milano)

Sarebbe interessante sapere se l’autrice della lettera userebbe oggi lo stesso tono. E forse ancor più interessante sarebbe sapere se il Pd, e tutti quelli che sono intervenuti sguaiatamente sulla presunta “questione fiamma”, sarebbero disposti a sottoscrivere una lettera che rimprovera l’Aned per l’uso improprio delle figure di Gramsci e di Matteotti. Quasi un abuso, visto che con la deportazione non c’entrano e che, usandoli, si finisce per sminuire la Shoah, come lamentava Liliana Segre.

Per tornare alla fiamma tricolore, so bene che la sigla del MSI è stata interpretata come acronimo di Mussolini Sei Immortale, con la fiamma a rappresentare lo spirito del presunto immortale che sgorga dal sottostante trapezio-tomba. Ma questa interpretazione era falsa. Lo sapevano tutti. E così testimoniò uno dei fondatori del Msi, Cesco Giulio Baghino, a Nicola Rao: <è una delle tante leggende nate nell’ambiente, ma non risponde al vero> (in N. Rao, La fiamma e la celtica, Sperling & Kupfer, Milano 2006). Difficile che possa aver mentito un signore ormai quasi novantenne, ultimo presidente onorario del MSI-DN.

So bene che il nostalgismo era presente, anche per il Mussolini della Rsi, paradossalmente in un partito che, fin dall’inizio, raccolse consensi soprattutto nell’Italia meridionale che non aveva vissuto la guerra civile e della Rsi poco o nulla sapeva. Ma il nostalgismo col tempo sfumò. Non appartiene alla generazione di Giorgia Meloni, ed era marginale anche in quella precedente. Quando, nel 1995 il MSI fu sciolto, e nacque Alleanza Nazionale, se ne andò solo una esigua minoranza di nostalgici.

Può darsi che un giorno la fiamma sparirà. D’altra parte, quando Fratelli d’Italia nacque il simbolo non aveva la fiamma, oggetto di una contesa con i micropartiti che se ne erano impossessati per puro marketing elettorale. Ma se Giorgia Meloni l’avesse fatta sparire per un “ammonimento” di Liliana Segre, subito strumentalizzato dagli avversari politici, avrebbe sbagliato. Lo dico da “nostalgico”, non del MSI né della sua fiamma, ma di un grande partito conservatore che spero venga alla luce. Come spero in un bipolarismo politico normale, in un’Italia normale, che non abbia bisogno di scontrarsi sul passato, ma solo su come disegnare il futuro.

Resta il fatto che la fiamma tricolore non è un fascio littorio, ed è stato il simbolo di un partito democratico anche al suo interno, litigioso e con una leadership contendibile. È stato sempre rappresentato in Parlamento e nel Parlamento Europeo. Con quel simbolo ha avuto ministri, sottosegretari, presidenti di Regione, sindaci, presidenti di Provincia. Per decenni. Mai ha invocato il ritorno alla dittatura. La stessa Meloni è deputata dal 2006. È stata vice presidente della Camera e ministro della Repubblica.

Dunque? Dunque sarà bene, per questo nostro disgraziato paese, che in questa campagna elettorale si cominci sul serio a parlare di programmi, prospettive, non di simboli. A voler essere sarcastici, quello del Pd reca il nome del Partito democratico. Sotto è aggiunta la scritta “Italia democratica e progressista”. Un po’ tautologico. Come se ci credessero poco. Siccome democratici sono tutti i partiti in lizza, forse converrebbe che cambiassero il nome in “Partito  Progressista”. Così, più chiaro, senza tautologiche ipocrisie.

 

Per chi volesse, qui il mio colloquio con Radio Radicale sulla lettera di Liliana Segre al “Corriere”.

 

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