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Costanzo, genio in bianco e nero

Febbraio 24, 20230

Forse non è un vizio solo italiano, ma certo nello sperticato elogio del defunto siamo maestri. Dunque non mi sorprende l’accorato moltiplicarsi di panegirici postumi per Maurizio Costanzo. Un genio, si dice. Non potendolo definire santo, più di genio non si può dire. Anche se le iperboli si stanno sprecando.

Sia chiaro, Costanzo è stato sul serio un genio della comunicazione e dell’intrattenimento. Ha fatto tutto: il paroliere, il giornalista, lo scrittore, lo sceneggiatore, e forse qualcos’altro che dimentico. In più ha calcato la scena quando palesemente era l’ombra di se stesso. Ma non se ne crucciava. Ed ha continuato, imperterrito.

Ma quel che veramente gli si deve è l’invenzione del salotto televisivo, che oggi chiamiamo talk show. Se ne sei capace, e lui lo era, metti un po’ di umanità varia in poltrona e la fai parlare. Come avviene, da sempre, nei salotti casalinghi. O al bar. Certo, la scelta è oculata. Ci vogliono leggerezza, dolore, politica, cultura, spettacolo e avanspettacolo. Il tutto shakerato con sapiente cinismo, e con l’aria innocente dei veri cattivi. D’altra parte Costanzo non negava di saper interpretare il ruolo di cattivo. Alla perfezione. Magari non lo era, ma sapeva sembrarlo. E al pubblico seduto nel vero salotto, quello di casa, piaceva. Era come stare al Colosseo, pronti ad applaudire la morte del gladiatore.

Le imitazioni di “Bontà loro” e delle sue evoluzioni sono state infinite, più o meno riuscite. Anche per un motivo banalissimo. Costanzo ha inventato la Tv a basso costo. Il tempo è occupato dalle chiacchiere, non dalle immagini. E quel tempo, che nel giornalismo televisivo come nelle fiction costa molto, nei talk costa poco. La Tv del dolore e del battibecco è quasi gratis. Per inventarla ci vuole del genio.

In questo Costanzo è stato precursore e donno. Applausi. Poliedrico, ne ha inventate tante di cose. Ma quando si è trattato di fare un quotidiano popolare italiano – “L’Occhio” – imitando quelli inglesi, fallì rovinosamente. Poi ci fu la P2. Ma almeno lui ammise di essersi pentito. Un genio, certamente, ma non fino al punto da meritare l’altare laico che gli si sta cucendo addosso. Forse Costanzo, cinico e sornione, se la ride da lassù. Dove ha già scoperto che cosa ci sia dietro l’angolo.

Nella sua vita prismatica, è stato anche amico di Giovanni Falcone e si è impegnato nella lotta alla mafia. Per questo ha rischiato di morire, quel 14 maggio 1993, nell’attentato dinamitardo in via Ruggero Fauro. Mancò un attimo. L’innesco dell’esplosivo tardò e il muretto di cinta di una scuola protesse la macchina che lo stava portando a casa. Se non si fosse impegnato pubblicamente, con il suo “salotto”, contro la mafia, avrebbe vissuto più tranquillo. E questo gli fa onore. Forse proprio per questo va reso omaggio alla sua memoria. Il resto, la genialità, è già nei manuali. Che dureranno nel tempo. Immortale sarà solo la sua (e di Ghigo De Chiara) Se telefonando, per Mina. Non è poco.

Ps.

Non ho mai conosciuto con Maurizio Costanzo, ma anch’io gli devo qualcosa. Indirettamente. Proprio grazie a quell’attentato fallito. Il 14 maggio del 1993 era un venerdì. Io lavoravo al Gr3, redazione speciali. Per la domenica mattina si produceva uno speciale di 30 minuti. Ovviamente era già registrato. Ma il caporedattore, il caro Mario Accolti Gil, molto opportunamente, buttò tutto e mi spedì a via Fauro. “Racconta quel che vedi”, mi disse. Una diretta al buio non l’avevo mai fatta. Panico vero. Eppure parlai. La vita è strana. Il caso conta. Il caso salvò Costanzo. E il caso mi costrinse a imparare.

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