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Reporter col cilindro nell’Italia che fu

Marzo 7, 20230

Giorni fa passavo per via del Corso, a Roma, costeggiando palazzo Marignoli. Al civico 180, a due passi da piazza Colonna e da Palazzo Montecitorio, hanno aperto un Apple Store. Quei locali erano chiusi da tempo. I lavori sono stati fatti in sordina, durante la pandemia. Bene, mi son detto. Un po’ di vita.
Poi ho pensato che qualche mese fa, a Trieste, ho preso un cappuccino nell’Antico Caffè San Marco. È lì dal 1914. Un monumento alla Belle Èpoque. È bello. Funziona. In un’ala c’è una libreria.
Nel 1914 al civico 180 di via del Corso c’era una volta il Caffè Aragno. Quello che Orio Vergani definì il “sancta sanctorum della letteratura, dell’arte e del giornalismo”. Io non l’ho mai visto. Fondato nel 1886, chiuse nel 1955. Al suo posto subentrò l’Alemagna. Ci si entrava, con la mamma, quando si scendeva in centro per fare compere, sempre negli stessi due o tre negozi di abbigliamento. Era una tappa obbligata. Archiviato l’Alemagna, è passato di mano in mano, fino alla chiusura definitiva.

Nostalgia? Un po’ sì. È umano. La stessa nostalgia che ho provato nei periodi in cui era chiuso il Gran Caffè Schenardi di Viterbo, in via del Corso, dal 1818. Non perché ci abbia preso il caffè Giuseppe Garibaldi nel 1876, quando sindaco era il mio trisavolo Alessandro Polidori. Banalmente perché, la domenica, i nonni mi compravano il gelato.

Nel caso dell’Aragno la nostalgia è di ben altro tipo. Forse non è neppure nostalgia. È, piuttosto, una riflessione su un’Italia che non c’è più, su una Roma che non c’è più. Talvolta ho il dubbio che quella Italia, da poco unita, e quella Roma, da poco capitale, fossero non dico migliori, ma per certi versi più creative e divertenti. Anche dal punto di vista politico. L’Italia della destra storica, della sinistra storica, del trasformismo di Depretis… L’Italia liberale e bambina che cercava il suo posto in Europa e nel mondo.

Ebbene, anche in quell’Italia c’erano i giornalisti. Quei giornalisti che cominciarono a raccontare l’attività parlamentare il 27 novembre 1871, quando, trasferita da Firenze la capitale del Regno, per la prima volta la Camera dei Deputati si riunì a Montecitorio. Allora, tra una seduta e l’altra, i giornalisti andavano all’Aragno. Dove andavano anche i deputati. E dove si creava l’osmosi tra due mondi che avevano bisogno l’uno dell’altro. Accade anche oggi. Nel Transatlantico, alla buvette, nei bar e nei ristoranti del quadrilatero della politica, tra San Lorenzo in Lucina e Palazzo Madama. Partiti, governi, correnti, scissioni, gruppi e sottogruppi nascono lì. È un quadrilatero elastico, dipende dalle stagioni, politiche naturalmente. I cronisti sono bravissimi nello scoprire dove si riuniscono questi e quelli. Per dire, tramontate piazza del Gesù, le Botteghe Oscure, l’hotel Raphael, la topografia è cambiata, ma sempre all’interno del quadrilatero.

Da quel 1886, c’era l’Aragno. Con la sua terza saletta, quella delle chiacchiere. Nei pressi, le redazioni dei quotidiani dell’epoca: il “Capitan Fracassa”, il “Don Chisciotte della Mancia”, il “Folchetto”, “Il Torneo”, per ricordarne qualcuno tra i fogli dell’Italia umbertina. Almeno quelli sui quali si è concentrato il giornalista culturale del Tg2 Adriano Monti Buzzetti Colella per raccontare quel mondo.

Di storie del giornalismo ne esistono molte, più o meno accurate. Ma questo saggio – Reporter col cilindro. Alle origini del giornalismo parlamentare – ha il pregio della diversità. Qui non si tratta solo di editori, di passaggi di proprietà, di copie vendute, di crisi e rinascite. Anche grazie a una scrittura “giornalistica”, con queste pagine ci si immerge in un altro mondo, con le sue regole che stavano nascendo, con i suoi tic, con le sue genialità, in fondo con la passione civica dei suoi protagonisti, che provavano a spiegare ai lettori un’Italia giovane in rapida evoluzione.

Il Caffè Aragno nell’Ottocento

I nomi di Luigi Arnaldo Vassallo, Emilio Faelli, Luigi Bertelli, Luigi Lodi, Baldassarre Avanzini oggi dicono poco, se non agli specialisti. Ma furono i precursori del giornalismo parlamentare. In un altro mondo. E, all’epoca – sottolinea l’autore – <divennero celebri divertendosi: conciliando ecletticamente il rigore della notizia con l’artista o talento del vignettista politico (o, come allora si diceva, “pupazzettista”) e con la goliardia ambientale di nascenti redazioni dove si scriveva, si beveva, si discuteva, si litigava, si rideva e poi si tornava a scrivere senza soluzione di continuità. Il tutto consumato accanto a giovani frequentatori di tribuna stampa, collaboratori esterni e compagni di bagordi dai nomi – o dagli pseudonimi – non troppo a lungo oscuri: Trilussa, Pascarella, D’Annunzio, Scarfoglio, Carducci…>

Scrivevano con la penna stilografica, naturalmente, con serietà ma anche con ironia. In fondo, i loro resoconti, erano capaci di spiegare i provvedimenti legislativi, le diverse posizioni politiche, senza dimenticare che i loro lettori avevano bisogno di farsi un’idea di quegli eletti di cui avevano visto a stento una foto. Andavano raccontati, “dipinti”. Come andava raccontato l’ambiente in cui vivevano. <Circola, sui banchi della Camera, una sottoscrizione per offrire all’on. Berio un polmone d’onore>, scrive il cronista il 5 dicembre 1884. Il genovese Giuseppe Berio, della Sinistra storica, vicino agli ambienti armatoriali, si lasciava andare a interventi-fiume. Con po’ di sarcasmo, il deputato veniva in fondo umanizzato.

Magari ne nascevano duelli, ancora all’inizio del Novecento, ma probabilmente i lettori capivano. Col tempo, la “casta” dei giornalisti parlamentari – della quale ho fatto parte – diventò più seriosa e e specialistica. Salve rare eccezioni. Meglio? Peggio? Difficile dirsi. È come se dall’artigianato si sia passati al sistema industriale, via via sempre più dipendente dalla tecnologia. Dall’Aragno si è passati all’Apple Store. Non si torna indietro. Ma con questo saggio, Adriano Monti Buzzetti Colella ci costringe a fare un tuffo nel passato, nell’Italia che fu, al di là del giornalismo. Nell’Italia che scrive uffizi, non uffici. Meglio averne memoria.

 

Adriano Monti Buzzetti Colella, Reporter col cilindro. Alle origini del giornalismo parlamentare, Historica, Cesena 2022

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