Salò, forse di origine etrusca, sicuramente romana con il nome Salodium, è bella quanto sfortunata. Si stende su una insenatura della sponda occidentale lombarda del Lago di Garda, che appunto si chiama Golfo di Salò. Bella la cittadina. Bello il lungolago. Belle i suoi alberghi, frequentati soprattutto da famiglie di turisti tedeschi. Cittadina tranquilla, anche perché tranquille solo le acque della stretta baia.
Tranquilla ma, per certi versi sfortunata. Chi se lo ricordava che il commissario prefettizio Salvatore Punzo il 23 maggio del 1924, decise di attribuire la cittadinanza onoraria a un Benito Mussolini presidente del consiglio ma non ancora dittatore? Forse una delle prime tra le innumerevoli cittadinanze attribuite al duce. Dall’anno successivo ne ricevette a pioggia. Cent’anni dopo ha un senso revocarle, anche se nessuno se le ricorda? Probabilmente si. E ogni polemica – che nascessero era scontato – è fuori dal tempo e dallo spazio. Ormai Mussolini e il suo regime sono solo storia. Di quella storia fanno parte anche gli omaggi servili di quei tempi. Anzi, bisognerebbe fare un censimento nazionale delle cittadinanze onorarie, non solo mussoliniane. Si troverebbero probabilmente anche altri nomi da cassare.

Resta il fatto che Salò è stata sfortunata. È passata alla storia come “capitale” della Repubblica Sociale Italiana senza esserlo. La Rsi è arbitrariamente definita Repubblica di Salò. Il centro lacustre è pura vittima del caso, di uno scherzo della storia. In realtà il vertice del neofascismo repubblicano si riuniva nella Villa Feltrinelli di Gargnano, 15 chilometri più Nord. Dunque sarebbe stato più corretto chiamarla Repubblica di Gargnano. O del Garda, perché i ministeri erano in realtà dispersi qua e là.
Salò ospitò il ministero degli Esteri. Ma ha avuto la sfortuna di accollarsi anche quello della Cultura Popolare, che diffondeva i comunicati stampa del governo. Datandoli, appunto, “da Salò”, dove Mussolini – per paradosso – mise piede una sola volta.

Accadde il 24 febbraio 1945. Quel giorno, nel duomo della cittadina, dedicato a Santa Maria Annunziata, si celebrarono i funerali del sottosegretario agli Esteri (ministro era Mussolini) Serafino Mazzolini. Ex nazionalista, giornalista, diplomatico, monarchico e tuttavia “repubblichino”, da tempo malato, era morto di setticemia nella notte del 23. Non a Salò, ma a San Felice del Benaco, paese dirimpettaio nel golfo, dove abitava nella Villa Portesina.
Il vertice della Rsi fu compatto alle esequie, Mussolini in testa. Un testimone, il giornalista Luigi Romersa, raccontò che il duce aveva le lacrime agli occhi. Alla notizia del decesso, aveva definito Mazzolini “un patriota esemplare”. Almeno secondo la testimonianza del console Alberto Mellini Ponce de Leon, stretto collaboratore del sottosegretario. Presenti al funerale anche l’ambasciatore tedesco Rudolf Rahn e quello giapponese Shinrikuro Hidaka.
Forse Salò sarà apripista di altre revoche di cittadinanze onorarie. Magari più “meritate”, ma ormai certamente obsolete.
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