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“Cuore”, una rilettura necessaria

Giugno 9, 20220

Va riletto Cuore di Edmondo De Amicis? Oppure è un’opera irrimediabilmente datata, che nulla può insegnare alle giovani generazioni? Oppure ancora, è il caso che lo rileggano gli adulti? In questo agile quanto acuto saggio Marcello Fois si esprime in modo decisamente positivo. Lo fa spaziando tra biografia deamicisiana, storia della letteratura, storia del costume, con qualche incursione nella politica contemporanea, senza mai dimenticare di essere uno scrittore. Come De Amicis, peraltro, che scrittore precoce fu. Intrattenitore, certo, ma con una convinzione: la sua opera doveva essere educativa. In questo senso Fois sostiene che Cuore comincia dove finiscono I promessi sposi. De Amicis comincia dove finisce Manzoni, fatte salve le debite proporzioni. In entrambi l’afflato etico è evidente. De Amicis si pone l’obiettivo di formare una generazione, quella della consapevolezza di essere parte e sostanza della Nazione appena unificata. Non più solo dalla lingua. E lo fa <auspicando la nascita di una nazione a tutti gli effetti moderna>. Cuore è un romanzo laico, nel quale il cattolicesimo è solo un sottofondo, in lontananza. E chissà se Papa Giovanni, il Papa “buono”, si sia reso conto che la sua celeberrima “carezza” da portare ai bambini sia stata un’evocazione della deamicisiana “carezza del Re”.

De Amicis vuole gettare le basi di un popolo unito, con valori condivisi, che la scuola è fondamentale e ha il dovere di insegnare, laddove il Pinocchio collodiano al contrario la sbeffeggia. Socialista umanitario, in un certo senso – sottolinea Fois – l’ex ufficiale deve scegliere quale Italia rappresentare e sostenere. Ebbene, <inventa così l’“Italietta” dando corpo e anima alla formula “italiani brava gente”>, che risponda o meno al vero, oggi come ieri. Cuore ha un valore letterario e insieme normativo. Insegna le regole dell’educazione, esalta il valore dell’istruzione in un mondo di analfabeti, <ma anche e soprattutto> deve <insegnare agi italiani a catalogarsi prima che si scoprano menefreghisti, pusillanimi, sanguigni, guardinghi. Ne scaturirà un modello del tutto nuovo di cittadino che produrrà, a sua volta, un impatto tale da convincerci di essere geneticamente sentimentali, generosi e atti al sacrificio>. È una costruzione <in vitro>, un sogno, ovviamente, che calato nella realtà umana non poteva totalmente inverarsi. Tuttavia, leggendo questo saggio insieme leggero e profondo, si può trarre la consolante impressione che Cuore sia stato utile, almeno nel limitare i danni. Il suo autore non era “buono”, piuttosto “buonista”. Ma il suo lascito resta fondamentale.

Marcello Fois, L’invenzione degli italiani. Dove ci porta il Cuore, Einaudi, Torino 2021

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