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Dc, storia del partito-Stato

Dicembre 21, 20230

È curioso che un saggio storico si apra con l’ammettere – da parte dei suoi stessi autori – che l’oggetto della ricerca non ha suscitato nella storiografia italiana grande interesse. Nonostante tale oggetto sia la Democrazia Cristiana. Cioè il partito politico che per mezzo secolo ha governato il nostro paese, assumendo, per molti profili, il ruolo di partito-Stato. Ha potuto e in fondo dovuto farlo, perché si è trovato a operare, dopo la seconda guerra mondiale, nel clima della guerra fredda tra democrazia e sovietismo diffuso, per di più dovendo confrontarsi con il più grande Partito comunista dell’Occidente, strettamente legato a Mosca. Un contesto che ha impedito l’alternanza tra forze politico-ideologiche, che dovrebbe essere il principio fondante di ogni sistema democratico compiuto. Un vulnus che ha prodotto – pur garantendo largamente la libertà dei cittadini – conseguenze politiche e culturali che per molti versi hanno pesato anche sui decenni successivi alla implosione del partito nato, con un parto problematico, a ridosso del crollo del regime mussoliniano.

<La Democrazia cristiana non è un fenomeno molto studiato>. Così s’inizia l’introduzione degli autori – Guido Formigoni, Paolo Pombeni, Giorgio Vecchio – al loro lavoro. Un paradosso, un vero paradosso. <La scarsa attenzione intellettuale nei suoi confronti – rilevano – è uno dei paradossi più difficili da spiegare della cultura storiografica e politologica contemporanea>, anche se col tempo numerosi sono diventati gli studi specifici, pur se spesso settoriali o dedicati alla biografia politica dei protagonisti di quella lunghissima stagione. Le cose potrebbero cambiare – è auspicabile – con l’emergere della disponibilità di archivi e documentazioni a lungo rimasti sotterranei.

La scarsa attenzione, secondo gli autori, si spiega con la sovrapposizione quasi integrale tra il governo a guida democristiana e il partito. <Da una parte, sembra esserci meno interesse per gli aspetti culturali e ideologici specifici di questa classe politica, e più attenzione, potremmo dire, alle sue realizzazioni operative e agli esiti della sua azione istituzionale. Dall’altra, la storia di governo e di sistema prevale sulla storia di partito>. In fondo, riconoscono, <Non si può studiare il partito senza tener conto che era al centro del sistema di governo>. E in realtà, le 713 pagine di questo lavoro si snodano – opportunamente – in una narrazione parallela e integrata, cosicché ne emerge la storia complessa del partito-Stato.

Opera meritoria, che si dipana dai primi tentativi del 1940 e dal Codice di Camaldoli del luglio del 1943 (ma pubblicato nel 1945) alle vicissitudini dei decenni successi, dall’epoca degasperiana alla definitiva implosione del 1993. Pagine scritte con grande maestria e con uso accurato delle fonti, compresi, in particolare gli ormai numerosi volumi di diaristica e memorialistica. Lo stesso De Gasperi, con Fanfani, Andreotti, Moro, Scelba, Rumor, Taviani, Colombo, Segni, Maccanico, riemergono come protagonisti e tessitori della storia italiana. Il libro non pretende di <colmare integralmente> i vuoti storiografici accumulatisi nei decenni. Per quanto ampio, accurato e apprezzabile per la scrittura, non è – e non vuole essere – la storia definitiva della Dc. In fondo è – per paradosso – un “Bignami”, una sintesi ragionata di cinquant’anni di storia italiana, una svolta che, probabilmente, apre la porta a nuovi studi, quanto mai necessari.

Per ragioni meramente anagrafiche, ho molto apprezzato i capitoli che coprono l’arco temporale dal 1969 al 1983: sintesi essenziale di anni difficili, nei quali il partito-Stato – al di là del correntismo esasperato – ha dovuto con difficoltà governare il profondo mutamento sociale del paese e la lunga drammatica stagione del terrorismo. Forse è esagerato anticipare il reale distacco del Pci da Mosca. Forse – trattandosi di storia – è improprio scrivere che l’omicidio a Palermo (6 gennaio 1980) di Piersanti Mattarella sia stato opera <quasi certamente dalla mafia, forse aiutata da estremisti di destra>. In ogni caso, la ricostruzione è nel suo complesso corretta e condivisibile, ed è una sorta di biografia della Nazione.

Resta sospesa, invece, la questione centrale del perché il partito-Stato capace di suscitare il miracolo economico, governando la democrazia incompiuta, non sia riuscito sopravvivere all’offensiva giudiziaria di Mani Pulite, disperdendo il suo personale politico – in gran parte di ottimo livello – in mille contrastanti rivoli. La mia personale opinione è che l’idea di proporre – fin dal nome – il partito come partito unico dei cattolici, sia stata una prospettiva debole. La sovrapposizione di religione e politica e il parallelismo con le gerarchie ecclesiastiche erano forse inevitabili, nel tragico contesto degli anni Quaranta. Ma tra monsignor Montini e don Sturzo, tra Dossetti e De Gasperi – per fare solo degli esempi – troppo larga era la distanza culturale. E la pretesa di rappresentare tutto il magmatico mondo cattolico era, appunto, una pretesa, di sapore sottilmente totalitario. Dimenticarono, credo consapevolmente, che il cattolicesimo vive di carismi, al plurale.

Guido Formigoni, Paolo Pombeni, Giorgio Vecchio, Storia della Democrazia Cristiana 1943-1993, il Mulino, Bologna 2023

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