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Schegge, asterischi, burocrazia…

Dicembre 22, 20230

Dovendo compilare il modulo di una pubblica amministrazione, per ottenere il rimborso di modeste spese certificate, mi sono imbattuto in un dilemma. Mi chiede, ovviamente, di indicare il conto corrente dove la suddetta amministrazione, effettuati i doverosi controlli, avrebbe potuto accreditare l’importo spettante. Ma perché mai il modulo prevede che si indichino, nell’ordine, il numero del conto corrente, il codice ABI, il codice CAB e, infime, il codice IBAN, il quale, com’è noto, accorpa (tranne il CAB) tutte le lettere e i numeri che identificano senza possibilità di errore il conto corrente in questione, compreso lo sportello bancario dove è allocato? Non so spiegarmelo. Misteri della burocrazia. La quale è il braccio della pubblica amministrazione, l’interfaccia esecutivo del governo di ogni Stato, Italia compresa.

Per volare più alto, nello scrivere queste righe su questo nuovo libro di Guido MelisDentro le istituzioni. Idee, giudizi, critiche, proposte – avrei potuto cominciare col citare il manuale Cencelli. Più alto perché, sembra nel 1967, il funzionario della Dc Massimiliano Cencelli ebbe l’intuizione di mettere su carta i criteri applicati, ma fino ad allora non scritti, per la formazione delle compagini governative, attribuendo un peso specifico a ogni carica di ministro e sottosegretario, senza dimenticare i vertici delle aziende pubbliche o partecipate, e giù per li rami, in modo che a ogni partito si potesse assegnare con precisione matematica tanti ruoli quanti gli spettavano in base alla sua rappresentanza parlamentare. Un genio, il Cencelli. Capace – come riconosce Melis – di formalizzare una <sofisticata prassi, quasi un algoritmo>. E da quell’algoritmo deriva l’efficienza – o l’inefficienza – della pubblica amministrazione centrale e periferica. Dunque la burocrazia.

Ma, per essere onesti, cominciare col buon Cencelli sarebbe fuorviante. Perché la questione è ben più antica, e per comprendere la sua complessità attuale bisogna tornare molto indietro nel tempo, persino al Regno di Sardegna e, subito dopo, all’Italia unita, come l’autore ben spiega in questo libro che confessa di avere, in prima istanza, pensato di intitolare Schegge, asterischi. E non sarebbe stato un errore per un testo che ha l’ambizione <di provocare qualche curiosità nel lettore e se possibile riflessioni critiche in un pubblico generico, forse persino preferibilmente di non specialisti>.

Sono sì, quelle raccolte, <pagine sparse>, non sistematizzate. Ma il filo conduttore risulta evidente, ed è la necessità di ricordare, sempre, che <la storia scorre, interrotta spesso da drammatiche cesure>, ma comunque non può essere compresa se non nella sua continuità.

La pubblica amministrazione e la sua burocrazia, dunque. Il suo fondamentale ruolo nella gestione della cosa pubblica, che incide sulla vita quotidiana dei cittadini – burocrati compresi – e sulle prospettive di tenuta e di sviluppo della Nazione. Il dibattito politico e culturale sulla qualità della pubblica amministrazione, sul ruolo dei ministri, dei dirigenti, dei semplici impiegati è antico e ricorrente. Con le sue schegge Melis ne fa emergere le tracce, con non dichiarato ma presente obiettivo pedagogico. Per tentare di sciogliere i nodi del presente è necessario, in sostanza, conoscere i precedenti, le riflessioni e le decisioni assunte dalla politica nel corso dei decenni, spesso senza esiti positivi, fin dall’Italia liberale. Per questo si poteva saltate il buon Cencelli e cominciare, per esempio, dalle righe di Luigi Luzzatti, scritte sul “Corriere della Sera” nel 1909: <Il Minghetti non cercava che le competenze e segnatamente preferiva i giovani. […] Abbiamo voluto indugiarci su questo esempio perché è tipico e fa manifeste le intime cagioni dei decadimenti in molti altri rami della nostra vita amministrativa. Avvengono nei nostri Ministeri delle nomine, si segnalano delle rapide fortune, che in Germania, in Austria, in Inghilterra non sarebbero possibili>. Oppure con la riflessione di Mario Bracci, su “Il Ponte”, nel 1947: <Ti dirò anzi che molte volte ho constatato che i tecnici sono piuttosto portati, per abito professionale, a considerare il particolare piuttosto che il generale e che a loro sfuggono i collegamenti che ogni problema specifico ha con altri problemi amministrativi, finanziari e politici>. La politica ai politici, dunque. Tema di ieri, ma sappiamo bene quanto sia contemporaneo. Oppure, ancora, avremmo potuto cominciare con la <scienza arcana>, come nel 1861 Francesco De Sanctis definiva alla Camera le conseguenze dell’accumularsi senza soste di decreti e regolamenti.

Si può continuare con gli esempi. Ma sarebbe solo un riassunto di un libro che va letto per intero. Meglio chiudere – come ricorda Melis – con le <follie di ordinaria burocrazia: dal generale Luigi Cadorna, il comandante supremo della Prima guerra mondiale sino al disastro di Caporetto, si pretende che “comprovi” il suo servizio al fronte>. <La macchina non ha più cervelli>, commentò “La Voce Repubblicana” nel 1921. Si può cambiare? È una domanda retorica. Dipende dalla classe politica e dai pubblici funzionari. Lo storico Melis denuncia il problema. Ma la risposta non tocca agli storici. Il suo libro è uno strumento di riflessione messo a disposizione dei cittadini e della politica. Va letto, anche se comporta il rischio di qualche nostalgia per quello che poteva essere e non è stato. O, magari, per come Giovanni Giolitti, ministro dell’Interno, nel 1901, telegrafa senza tanti fronzoli al prefetto di Pisa Carlo Bacco: <Ella sapendo che Sua Maestà viaggiava in forma privatissima commise atto gravissima sconvenienza presentandosi e presentando altre persone e lasciando avvicinare altre persone al treno. Mancanza è così grave che non posso lasciare a Lei altra alternativa che di andare in aspettativa per servizio o chiedere il collocamento a riposo>.

Un tempo – ma la tradizione è ancora molto diffusa in America – nelle camere d’albergo era presente una edizione della Bibbia. Ecco, questo agile quanto complesso Dentro le istituzioni troverebbe la sua ideale collocazione sui comodini dei politici di oggi, di maggioranza e di opposizione. Accanto o in alternativa alla Bibbia. Nella speranza che non resti immortale l’ammonimento non del principe di Salina ma del nipote Tancredi: <Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi>. Una gattopardismo, con tutto il rispetto per il grande Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ha segnato in negativo la nostra storia.

Guido Melis, Dentro le istituzioni. Idee, giudizi, critiche, proposte, il Mulino, Bologna 2023.

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