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Storia. Quando Nenni cercò di “usare” Tamaro…

Luglio 29, 20220

<Davvero in tutto ciò ha ragione il cattolico e nazionalista Attilio Tamaro che intravvede i cosacchi comunisti a San Pietro come conseguenza della provocatoria politica americana della quale noi dovremmo essere la pedina Adriatica>. Firmato Pietro Nenni.

Pietro Nenni

Queste righe appaiono sabato 4 febbraio 1950 su “Mondo Operaio”, il settimanale della sinistra socialista fondato e diretto da Nenni nel dicembre 1948 (sarà rivista ufficiale del PSI dal 1951), in chiusura di un editoriale titolato I cosacchi in San Pietro (“Mondo Operaio”, a. III, n. 63, 4 febbraio 1950). Un editoriale ipercritico dell’annunciata imminente fornitura di armi ai primi 12 paesi – Italia compresa – che avevano aderito al Patto Atlantico, firmato a Washington il 4 aprile 1949. Il Patto, dal quale nacque la NATO, fu ratificato dal Parlamento italiano nel mese di luglio e divenne legge il primo agosto successivo. Contro il disegno di legge di ratifica votarono il Partito Comunista e il Partito Socialista che, alle elezioni del 1948, uniti nel Fronte Democratico Popolare, avevano largamente perso contro la Democrazia Cristiana, anche grazie alla nascita del Psli, il partito socialdemocratico di Giuseppe Saragat. Il Psi ne uscì doppiamente sconfitto, sorpassato dal Pci nell’attribuzione dei seggi.

Come il Pci di Togliatti, il Psi di Nenni era all’epoca strettamente filosovietico, forse persino con toni più radicali di quelli togliattiani. Non per caso nel 1952 Nenni fu il primo italiano a essere insignito del “Premio Stalin per la Pace”. Vien da chiedersi perché mai il leader socialista, per sostenere le sue tesi anti-atlantiste, debba aggrapparsi, per così dire, ad Attilio Tamaro.

È naturalmente un dettaglio, una piccola curiosità storica. Ma stupisce. Perché il triestino Tamaro, in quel 1950, è solo un ex diplomatico. Nel giugno del 1943 era stato espulso dal Pnf per “filoebraismo” e richiamato a Roma da Berna. Non aveva aderito alla Rsi. Aveva superato indenne il processo di epurazione, ma era stato collocato a riposo. Ormai è solo un battitore libero, volontariamente non legato ad alcun partito ma, da neo-irredentista, è attivissimo sulla questione di Trieste, anche collaborando con gli Esteri, nonostante l’antica e perdurante disistima per De Gasperi e per il ministro Carlo Sforza. Quindi non rappresenta nessuno, eppure a Nenni sembra importante.

Si potrebbe ipotizzare qualche rapporto privato tra Nenni e Tamaro. Ma se Nenni conoscesse veramente Tamaro, eviterebbe di definire “cattolico” un agnostico che cattolico è solo perché battezzato da bambino. Un eventuale rapporto, comunque, non emerge dalle carte del diplomatico conservate negli archivi della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice e della Biblioteca Hortis di Trieste. E neppure dal suo diario (G.S. Rossi, Attilio Tamaro: il diario di un italiano (1911-1949), Rubbettino, Soveria Mannelli 2021). Al massimo si può rintracciare un suo apprezzamento per Nenni che denuncia le “marocchinate” delle truppe coloniali francesi nel Lazio e per la sua posizione su Trieste. A Londra <Nenni si portò molto bene>, appunta Tamaro il 3 maggio 1945. <Dichiarò che, togliendo Trieste all’Italia, si ributtava questa in braccio al fascismo e al nazionalismo> e si rendeva <inevitabile una guerra con la Jugoslavia>.

Ma questo Nenni non può saperlo. Come non può sapere che Tamaro, il 16 giugno 1944, lo considera <L’ingegno più forte e la volontà politica più inquieta rivelatasi in questi giorni>. Nenni, <se non sorge un antagonista, ha l’aria di essere quello che trarrà a sé il più della vita politica. Scrive l’articolo di fondo (stampato sempre con caratteri speciali) in un tono saccente e autoritario tipicamente mussoliniano. È romagnolo, ex massone, ex repubblicano, ed ardito, ex fascista… Lo si direbbe ambizioso di non essere da meno del suo conterraneo>. Qualche mese dopo, il 14 febbraio 1945, Tamaro lo giudica <libidinoso di comando>.

Va detto che gli articoli di Nenni, prima sull’“Avanti!”, poi anche su “Mondo Operaio”, sono sempre proclami più che ragionamenti. Hanno il piglio del comizio. Anche quello in cui chiama in causa Tamaro.

Non è peraltro la prima volta che “Mondo Operaio” si occupa dell’ex diplomatico. Lo aveva fatto anche il primo gennaio del 1949 (“Mondo Operario”, a. II, n. 5, p.7). Tamaro stava pubblicando – in fascicoli quindicinali – il suo Due anni di storia, non con l’animo del reduce rancoroso, ma con quello di un italiano <rimasto fuori dalla rissa, deciso però a rimanere ben dentro la Patria>, come spiega nel l’introduzione.

Poteva trattarsi di una stroncatura. Invece, è una recensione molto rispettosa, firmata “g.p.”, sigla peraltro difficile da attribuire.
<L’editore romano Tosi – scrive dunque “Mondo Operaio” – va pubblicando da qualche mese, in dispense settimanali, il libro del diplomatico Tamaro sugli anni, tragici per la storia italiana, 1943 1945. Sono già uscite le prime venticinque dispense, formanti il primo volume, ed il volenteroso editore ne promette altre cinquanta. Si tratta di una opera impegnativa, di interesse soprattutto documentario che riporta non solo numerosi documenti scritti e fotografici, ma riferisce anche la cosiddetta tradizione già formatasi, intorno a fatti ed uomini di quegli anni, con l’orientamento dell’opinione pubblica e la prima letteratura. Anni terribili e grandiosi durante i quali l’Italia non solo sofferse una grave sconfitta militare, vide cancellata la sua indipendenza dagli eserciti stranieri, più o meno nemici, accampati sul suo territorio, ma fu privata di ogni sistema politico. Fu il vuoto di potere, a Roma, nel Sud e nel Nord che segnò la successione dal regime mussoliniano, seppellito sotto le responsabilità della disfatta, alle nuove forze politiche. Fra il passato e il futuro fu scavato dalla necessità delle cose il vuoto, e gli italiani nella sventura morale e materiale della guerra degli altri combattuta, metro per metro, in casa nostra, nella lotta civile, ingrata e senza pietà, ebbero di conforto la speranza del nuovo, del domani migliore. Fu tragico quel biennio, trascorso tra la vita e la morte, nella lotta dura combattuta alfine per la libertà, ma anche pieno di dolci, forse ingenue, speranze: che i sacrifici di allora potessero giovare al popolo italiano>.

<Ci furono responsabilità non solo della vecchia classe dirigente, riluttante a morire (dal vecchio re costretto agli ozi della pesca a Ravello, forse per meditare sui propri rimorsi, a Mussolini, ombra superstite di sé stesso a Salò), ma anche della nuova non completamente preparata ai compiti gravi di un’ora eccezionale che richiedeva uomini eccezionali. Se questi uomini sono mancati, se dal regime mussoliniano siamo passati a quello neo-guelfo, questa è stata purtroppo una triste disillusione, sulla fede di quei due anni. di quella lotta, dell’attesa di libertà e di progresso per l’Italia non ha perduto valore. Attilio Tamaro, (diplomatico, di vecchia formazione e di vecchie idee, nazionalista di quel nazionalismo onesto che credeva sul serio di servire e di amare il Paese), non vuole, forse non riesce, ad intendere il significato di questa fede. Il suo libro esprime lo smarrimento della vecchia classe dirigente che cerca le responsabilità particolari magari anche nella propria compagine, in polemica ora con questa ora con quella persona, difendendo ad ogni costo i propri idoli, maledicendo il destino: ma che non si accorge che la causa della sua tragedia è data dalla sua stessa natura. Tamaro ha voluto iniziare il processo a due anni di storia per un interrogativo della coscienza. Riandando con i documenti ai mesi di allora, interrogando ed ascoltando i protagonisti piccoli e grandi, leggendo diari, memorie e cronache, egli finora non è riuscito a rispondere a sé stesso. Ricerca le responsabilità particolari ma non vuole e non può ricercare quelle della sua classe. Gli anni ’43-’43 appartengono al domani dell’Italia, non al suo vecchio passato>.

Recensione critica, ma ragionata. Quasi impregnata di uno spirito di “pacificazione” che negli anni seguenti si sarebbe rarefatto. In effetti, anche rileggendolo molti anni dopo, la sensazione che, all’epoca, Tamaro non riuscì in Due anni di storia a esprimere una condanna globale del periodo fascista resta evidente. Forse per scelta, perché consapevole che i suoi lettori sarebbero stati essenzialmente italiani che avevano attraversato il Ventennio, magari mugugnando, ma tollerando la dittatura.

Comunque, ai ragionamenti di quel nazionalista onesto si appella Nenni un anno dopo. Lo fa nell’articolo di fondo, che rimanda a una nota non firmata in terza pagina, titolata Una voce a destra per la neutralitàLo spunto sono due articoli scritti da Tamaro sul settimanale “Governo. Giornale delle libertà italiane” (dopo pochi mesi il sottotitolo sarà “Giornale di opposizione nazionale”), da poche settimane fondato e diretto da Roberto Cantalupo. Giornalista, diplomatico, nazionalista, monarchico, ex deputato, ed ex sottosegretario alle Colonie, in vista delle elezioni del 1948 Cantalupo aveva fondato a Roma un Fronte del Risorgimento per sostenere la necessità di un nuovo referendum istituzionale. Poi sarà deputato monarchico e liberale.

Gli articoli di Tamaro erano apparsi su “Governo”, di spalla in prima pagina, il 21 e il 28 gennaio 1950. Con il comune occhiello Potremmo restare neutrali?, il primo era titolato Come aderimmo al Patto Atlantico, il secondo Se L’America non ci armasse. Gli articoli sono introdotti da una nota che spiega come Tamaro non rappresenti l’opinione del giornale. Cantalupo assicura che saranno ospitati altri pareri e che si riserva di chiudere il dibattito. Favorevole al Patto Atlantico sarà il maresciallo Giovanni Messe, Capo di Stato Maggiore Generale nel 1944-45, poi deputato democristiano, monarchico e liberale. Cantalupo non prenderà una posizione netta.

I due articoli di Tamaro hanno dunque colpito Nenni, che tuttavia si illude di trovare una “sponda” nella destra politica che Tamaro non rappresenta. E nella quale lo stesso Cantalupo è marginale. È comunque interessante leggere la nota di “Mondo Operaio”:

<Governo, un nuovo settimanale che propugnando il ritorno alla monarchia cattolica, si autodefinisce “giornale della libertà italiana”, ha pubblicato un importante studio di Attilio Tamaro dal titolo “Potremo restare neutrali?”. La risposta dell’ex ministro plenipotenziario, che occupò posti di grande responsabilità nella diplomazia dell’epoca fascista è nettamente affermativa. La sua conclusione è la seguente: “Il piano di costituire, con atto internazionale, una temporanea neutralità non sarebbe riuscito? Non riuscirebbe? Si sarebbe dovuto e si dovrebbe in ogni caso fare tutto il possibile per riuscirci. La posta in gioco è immensa. Vale a dire: scansare la invasione slavo-asiatica dell’Italia e l’entrata dei cosacchi comunisti a San Pietro”. Si ricorderà come la proposta di costituire con atto internazionale la neutralità italiana fosse formulata dal Partito Socialista nel 1947 e illustrata da Nenni alla Camera. Essa fu da De Gasperi respinta come impossibile per lo “stato di necessità” in cui l’Italia si troverebbe di dover respingere l’aggressione sovietica. Nel suo studio Attilio Tamaro ha facilmente dimostrato come l’adesione italiana al Patto Atlantico non evita ma provochi l’invasione. Da nazionalista e da cattolico Truman ha paura dei cosacchi a San Pietro. Le nostre preoccupazioni sono diverse e vorremmo dire più elevate. È però importante che partendo da considerazioni diverse Sinistra e Destra arrivano a conclusioni analoghe. Vale perciò la pena di esaminare attentamente le ragioni di Tamaro>.

<La prima – scrive “Mondo Operaio” – è che noi siamo disarmati e lo resteremo rispetto agli oneri di una terza guerra anche dopo di aver ricevuto gli aiuti americano.  “La nostra adesione al Patto Atlantico, poiché irrita e provoca il governo sovietico e ci lascia nel migliore dei casi con le armi permesse dal “diktat” ci espone, in caso di conflitto, a un’orribile invasione slavo-sovietica, senza possibilità di difenderci”. In secondo logo Tamaro non crede alle fatali linee strategiche di cui parlò De Gasperi e che farebbero della valle Padana l’inevitabile campo di battaglia della terza guerra. “Per quanto è lecito giudicare attualmente non esiste alcuna necessità fatale o divina, per cui la valle Padana debba servire da campo di battaglia”. Tamaro esclude che l’Unione Sovietica abbia interesse in caso di guerra ad occupare la valle Padana, “essendo le direttrici militari della Russia comandate su altre vie dalle necessità politiche e strategiche e perché l’occupazione dell’Italia costituirebbe per essa un grande peso passivo…”. Del pari, “anche le direttrici dell’America, se fosse obbligata a prendere le armi, passerebbero tutte fuori dell’Italia, come appare dagli scritti dei tecnici, all’Elba, al basso Danubio via Balcani, al Mar Nero, al medio Oriente e alla Siberia”. Per gli Stati Uniti“ le basi greche e africane sostituirebbero efficacemente quelle italiane”>.

<Tamaro non crede – registra ancora “Mondo Operaio” – né che la neutralità possa far perdere all’Italia i vantaggi (sono poi tanti?) del piano Marshall e dell’ERP, né i benefici della vittoria americana, tutt’altro che sicura. Infine Tamaro sottolinea che “non si tratta di neutralità ideologica, bensì politica e militare”. È quella del Tamaro una voce isolata a destra? O segna l’inizio delle resipiscenze? Staremo a vedere>.

Attilio Tamaro

Tamaro era realmente una voce isolata. <Sono fuori da tutti i partiti e desidero rimanervi. Non sono tuttavia uomo di sinistra, se questa definizione ha ancora un senso: ciò non di meno accetterei anche il comunismo, se vedessi in esso la possibilità di redimere la Venezia Giulia, e di rifare potente la Patria>, aveva scritto al poeta Biagio Marin il 24 luglio 1947.

Eppure “Mondo Operaio” continua a seguire i suoi interventi e il dibattito su “Governo”, sempre nella rubrica anonima Spunti polemici. Critica l’atlantista radicale Messe (Sciocchezze dei nostri generali, “Mondo Operaio”, a. III, n. 70, 1 aprile 1950, p.3). Apprezza l’Intransigenza di Tamaro (“Mondo Operaio”, a. III, n. 70, 7 dicembre 1950, p.3), pur considerandolo <Tanto lontano dal nostro modo di pensare e di considerare i fatti> (Un brivido alla schiena, “Mondo Operaio”, a. III, n. 107, 16 dicembre 1950, p.2) e <benché le premesse e le conclusioni dello scrittore nazionalista ci trovino completamente dissenzienti. Infatti il Tamaro – che <parla della Russia, che combatte, detesta, ma conosce e si sforza di capire> – chiede “un fortissimo esercito per essere indipendenti” laddove noi, per assicurare l’indipendenza della Nazione, fidiamo assai più in una giusta politica di pace che non nell’esercito che fra l’altro non sarà mai fortissimo> (I trattati si possono denunciare, “Mondo Operaio”, a. IV, n 116, 17 febbraio 1951, p. 2). In questo caso l’anonimo commentatore si riferisce a un articolo pubblicato da Tamaro non su “Governo” ma su “Rivolta Ideale”, il settimanale di Giovanni Tonelli, nato indipendente e poi organo del Msi, dopo la chiusura del quotidiano “Ordine Sociale”. La collaborazione di Tamaro si interrompe presto, perché viene censurato un suo articolo proprio sulla necessità di un accordo con la Russia in funzione anti-jugoslava. Il piccolo Msi (appena 6 deputati e 1 senatore) aveva fatto la sua scelta atlantista.

Salvo nuove acquisizioni, non risultano reazioni di Tamaro all’interesse che “Mondo Operario” mostra per le sue tesi. Né sono conservati nel suo archivio i ritagli che lo riguardano. L’interesse deve essergli apparso da un lato ingenuo e dall’altro strumentale. Non conoscendolo, in fondo Nenni non capisce che sta cavalcando il cavallo sbagliato. Non può invece non sapere chi è il figlio Tullio Tamaro, che era stato vice presidente del CLNAI regionale lombardo per il Pci. Ma quando si trattò di nominare il primo sindaco di Milano dopo la Liberazione, il 27 aprile 1945, il Psi gli preferì il socialista Antonio Greppi.

Tamaro è un nazionalista triestino e, teoricamente, da sempre sostenitore di politica estera realista. Al centro dei suoi ragionamenti è sempre – fin dalla Grande Guerra – l’affermarsi dell’Italia come grande potenza, capace di influire sia nell’area centroeuropea sia nei Balcani, con speciale riguardo a Trieste, all’Istria e alla Dalmazia, che considera italiane per diritto ancestrale. Critico del nazismo, accetta malvolentieri l’alleanza con la Germania, immaginando comunque una guerra futura contro Berlino. Contesta la politica la politica imperialista britannica, anche, nel secondo dopoguerra, per la sua ambiguità su Trieste. Considera gli Americani corresponsabili della visione inglese. Vorrebbe in prospettiva un’Europa neutrale (“Governo”, a. I, n. 47, 9 dicembre 1950, p.1), perché l’America, nonostante il Patto Atlantico, è ondivaga e <non sa ancora intervenire coi suoi soccorsi. Ha mandato pochi materiali (carri, artiglierie, aeroplani) in confronto alle ingentissime quantità necessarie e discute ancora sugli altri aiuti, volendo gli europei ricevere dollari, preferendo essa dare prodotti finiti delle sue industrie>. Comunque Tamaro non crede alla possibilità di un’Europa occidentale unita, e men che meno federale. A Filippo Anfuso – <intelligente e cinico giocoliere> – che gli chiede di scrivere sulla sua rivista “Europa Nazione” risponde il 3 agosto 1950: <L’Europa vivente? Si può, si deve auspicarla. Ma dove trovarla?>. Per Tamaro rischia solo di essere dominata da Stati Uniti e Unione Sovietica.

Antibolscevico radicale, spera nella neutralità da un punto di vista realistico, non ideologico. Il suo problema è Trieste. Tito ha rotto con Stalin nel 1948. Ma incombe sulla Venezia Giulia. Tamaro vorrebbe un’intesa con Mosca per contrastare le mire annessionistiche jugoslave, non certo per le affinità politiche di Nenni. Se questo accordo può passare da Togliatti o da Nenni, poco gli importa. Ma nota maggiore ambiguità in Togliatti che in Nenni.

Dall’agosto del 1946, con lo pseudonimo Tergestinus, collabora con la rubrica Ai fratelli giuliani, che le Radio Audizioni Italiane, fresche eredi dell’Eiar, mandano in onda da Bari, in collaborazione con la rinata Lega Nazionale. Il 7 novembre, Tergestinus si chiede: <Quando parla di uno scambio fra Trieste e Gorizia l’on. Togliatti si riferisce soltanto alla città o anche al cosiddetto territorio libero? Se soltanto a Trieste, il resto del territorio libero va alla Iugoslavia insieme a Gorizia? Questo, in realtà, dalle notizie che si avevano, era il piano di alcuni ambienti iugoslavi>. Il 29 novembre, apprezza invece Nenni, che ha <commesso agli ambasciatori mandati a New York di chiedere che le garanzie relative all’indipendenza e alla condizione internazionale del detto territorio sieno determinate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e che a queste spetti la responsabilità del loro rispetto>.

Nel suo diario, già il 9 marzo 1945, aveva appuntato: <Il governo giuoca unicamente la carta inglese. Per trarne un biglietto d’ingresso alla Conferenza di San Francisco ha promesso al governo americano di votare sempre le sue proposte. Ma per gli affari europei si fonda sulla speranza di convincere l’Inghilterra a riconoscere i nostri diritti e i nostri bisogni. Intanto perde di vista la realtà: cioè, che tutte le chiavi dell’Europa le tiene la Russia. L’ho detto e ridetto al Ministero: hanno invece paura di parlare con Mosca e della Venezia Giulia e d’altri problemi, perché temono di trovarvi volontà contrarie. Sopra questo, Quaroni manda telegrammi incitanti a avvicinarsi confidentemente al governo russo, il quale legge quei telegrammi (non esiste cifra) e si indovina come debba interpretare il fatto che non ricevono risposta. Il gabinetto non capisce (che cosa può capire De Gasperi, mai interessatosi di politica estera e ora occupato ben più negli affari del suo partito che al Ministero, dove sta poco?) che soltanto un franco accordo con la Russia è in grado di salvare tutto e anche di allontanare, almeno provvisoriamente, il bolscevismo. Stalin ci sospetta immersi a tutti i costi nella politica inglese e rassegnati a sentirci nella sua sfera d’influenza e, come Stone ha fatto sapere, a Yalta è stato “molto duro con l’Italia”. Certo è, che fa attaccare aspramente il gabinetto Bonomi dalla sua Radio>.

Insomma, si rischia di perdere Trieste e di vedere i cosacchi comunisti a San Pietro. Nel 1950 lo teme ancora. Criticherà duramente il trattato di pace (La condanna dell’Italia nel trattato di pace, Bologna, Cappelli 1952). Si rasserenerà solo con il ritorno della sua città all’Italia, il 26 ottobre 1954. Senza mai perdere, nei due anni che gli restano da vivere, lo spirito polemico che ha distinto l’intera sua opera di storico e giornalista.

Per quanto “inutilizzabile”, Tamaro non è però presto scomparso dal radar di “Mondo Operaio”. Siamo nel dicembre del 1953. E l’ormai rivista ufficiale del Psi, divenuta quindicinale, a firma di Libero Bizzarri fa il punto sulla storiografia contemporanea (L. Bizzarri, I libri del mese. Testimonianze dell’antifascismo, “Mondo Operaio”, a.V, n. 21, 5 dicembre 1953, pp. 19-20). Lamenta <come ancora lacunosa si presenti la storiografia del fascismo e dell’antifascismo, ed in particolare abbiamo dovuto lamentare la mancanza di opportune iniziative di parte democratica e antifascista>. Di contro – segnala – abbiamo la storia di venti anni (’22-’43) e quella di due anni (’43.’45) di Attilio Tamaro, alle quali occorre riconoscere una documentazione certamente notevole, che fa per altro da allodola ad un testo spesso caotico o semplicistico, falsamente “obiettivo” e sostanzialmente fascista>. Da qui l’auspicio che si pubblichi <una storia organica, integrale, esauriente> di parte “democratica”, e dunque “oggettiva”.

In effetti, a otto anni dalla fine della guerra, può sembrare strano che quest’opera – accanto a tante memorie – non sia nata. Ma, per quel che qui interessa, va notato come sia mutato il giudizio di “Mondo Operaio” su Tamaro. Il nazionalista onesto diventa un fascista tout court. Il cavallo sbagliato di Nenni non merita più il rispetto di pochi anni prima. Deve accontentarsi di essere considerato una fonte e di suscitare invidia per un lavoro che è comunque necessario consultare. In realtà i due volumi di Tamaro non sono strettamente “nostalgici”. Del fascismo e di Mussolini non nascondono il peggio. Basti pensare alla ferma condanna delle leggi antiebraiche, e non solo. Ma il clima politico e culturale è evidentemente cambiato. Tamaro aspetta solo Trieste italiana.

 

 

 

 

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